FRANCOFORTE SUL MENO, QUINTA CITTÀ TEDESCA per numero di abitanti, centro finanziario di livello mondiale, snodo per il traffico aereo e ferroviario nel cuore dell’Europa, è anche un polo culturale di grande interesse. Ora che ho avuto la possibilità di frequentarla quasi quotidianamente mi rendo conto dei suoi punti di forza e, soprattutto, di come funziona (bene) la sua rete di proposte. Innanzitutto c’è una spiccata vocazione internazionale alimentata da frequenti occasioni di scambio e dibattito. Così la posizione relativamente secondaria rispetto al potere tradizionale e istituzionalizzante delle grandi capitali europee si è trasformata in risorsa per cui l’offerta artistica e museale viene costruita sulla sperimentazione, sul sostegno ai giovani e sul loro inserimento in un contesto allargato per garantire comunque una notevole visibilità.
I vari programmi di residenza, sia per artisti che per critici o curatori, funzionano effettivamente come progetti collettivi in dialogo con la città: non il singolo che viene chiamato da un’istituzione per poi creare l’opera finale ma, invece, un periodo di collaborazione (spesso anche di coabitazione) tra persone che lavorano attorno a un determinato tema o che condividono ricerche comuni. Succede, per esempio, alla Frankfurter Kunstverein dove le mostre vengono generalmente introdotte dentro una rete internazionale: qui ho visto le installazioni di Ibon Aranberri e Natasha Sadr Haghighian a cura di Chus Martinez. Il primo artista rientra in un progetto espositivo che, cominciato con una personale alla Kunsthalle di Basilea, si concluderà il prossimo anno al Van Abbemuseum di Eindhoven mentre la seconda ha da poco terminato Solo Show al MAMbo di Bologna. Li accomuna, tra l’altro, la partecipazione alla Biennale di Sydney 2008. Aranberri presenta Floating Garden un progetto di analisi dello spazio e della sua concezione moderna, sviluppato dal 2004 con numerose varianti site specific. Anche Cave parte da questi presupposti per interagire, però, con uno spazio aperto, naturale, ricco di stratificazioni simboliche: le montagne attorno a Oñati nei Paesi Baschi. L’opera è il racconto di un’escursione (un travelogue) dove convergono elementi di documentazione scientifica, significati religiosi, mappature dalle multiple referenze. Sadr Haghighian, invece, conosciuta per il suo lavoro critico sulla produzione e l’identità artistica, presenta alla Frankfurter Kunstverein Früchte der Arbeit ovvero un’installazione sull’unione monetaria europea legata al particolare contesto finanziario della città. Una stufa alimentata da una pila di banconote appositamente tagliate produce un fumo luminoso composto da mele che si riflettono dentro uno specchio. Il richiamo ironico alla politica agricola dell’Europa allude ai rischi di una standardizzazione produttiva troppo rigida.
Un’altra sede molto interessante è Portikus che dal 2006 sorge sopra un’isoletta nel cuore di Francoforte nell’edificio di Christoph Mackler con un tetto/laboratorio luminoso progettato da Olafur Eliasson. Nato nel 1987 come spazio espositivo dell’Accademia d’Arte cittadina (la Städelschule) è attualmente diretto da Daniel Birnbaum e funziona come prestigioso osservatorio per le nuove proposte a livello internazionale. Al momento ospita una mostra di Wade Guyton, artista newyorchese, che lavora su larga scala usando una stampante a getto d’inchiostro per creare superfici astratte con minimi scarti quantitativi l’una rispetto all’altra. Opere non particolarmente entusiasmanti, dal mio punto di vista. Per chi cerca “grandi nomi” c’è poi il MMK – Museum für Moderne Kunst con la mostra di Takashi Murakami direttamente dal MOCA di Los Angeles. Proprio qui è cominciato il suo tour europeo con l’aggiunta di un paio d’opere inedite. Parte integrante del percorso lo splendido bookshop con ogni sorta di merchandising, tra cui vari oggetti a prezzi piuttosto abbordabili (ma la maglietta che avevo adocchiato, purtroppo, era già sold out).
Il mio impatto con la città è passato anche attraverso la 60a Fiera Internazionale del Libro che dal 15 al 19 ottobre ha raccolto circa 300.000 visitatori da tutto il mondo. Un’esperienza davvero emozionante. Nell’apposita sezione dedicata all’arte mi hanno colpito soprattutto i prodotti editoriali tedeschi e olandesi per qualità della grafica, raffinatezza del concept e freschezza dei temi affrontati. Forse non è un caso se i maggiori musei americani si rivolgono sempre più spesso a queste case editrici per la pubblicazione dei loro cataloghi (penso alla Steidl o alla Hatje Cantz, per esempio).
Infine, non compresi in questo giro specifico, ma già visitati in precedenza, il DAM – Deutsche Arkitektur Museum, il DIF – Deutsche Film Museum e la Kunsthalle Schirn sono altre sedi espositive importanti che lavorano sul contemporaneo a Francoforte. Si tratta di un contesto molto attivo nel quale le istituzioni, muovendosi in stretta collaborazione (dalla didattica alle mostre, dai workshop alle conferenze) riescono a sviluppare percorsi comuni di respiro internazionale con particolare attenzione per i giovani.
Clara Carpanini