Walking on Water è l’interessante lavoro di Mohammed Kazem esposto nel Padiglione Nazionale degli Emirati Arabi Uniti alla Biennale di Venezia, realizzato con il supporto della Fondazione Al Nahyan. Partendo da un lavoro di tipo neo-concettuale, l’artista indaga il concetto di direzione e di collocazione nello spazio attraverso i numeri, strumento con cui definiamo gli spazi. La ricerca prosegue dal 1999 con il nome di Directions e – utilizzando il dispositivo di coordinate GPS – Global Positioning System – si sviluppa in una serie di sperimentazioni che indagano lo spazio percettivo e lo spazio determinato dagli strumenti della tecnologia. Nell’opera esposta nel Padiglione, uno schermo video circolare mostra il mare in movimento: la percezione del movimento ondoso, che fa sembrare reale il “battello” su cui ci collochiamo, si accompagna alla scansione del dispositivo GPS, che posiziona geograficamente lo spettatore.
Questo è frutto di una reale esperienza, una caduta in mare dell’autore, che lo ha lasciato momentaneamente disorientato e confuso, “senza direzioni”. Kazem dichiara: “Sono affascinato dal collezionare e raccogliere informazioni anche su oggetti apparentemente non importanti, ma che sono tracce del nostro presente, all’interno di spazi particolari identificando e “mappizzando” le loro coordinate. Uso il GPS come strumento per disegnare forme, per creare molteplici dimensioni di significato”. Il progetto si sviluppa aggiungendo ogni volta delle varianti, affrontando il concetto di confine: delle nazioni, delle percezioni, dei numeri e della comunicazione. Mentre l’indagine sui numeri fa pensare alle ricerche concettuali (per esempio Mario Merz e Hanne Darboven), l’uso di un elemento tecnologico come il GPS potrebbe riallacciarsi alle ricerche della new media art, come ad esempio al gruppo Knowbotic Research, che ha lavorato a lungo sulle misurazioni tecnologiche nell’ambito di tematiche di rilevazione sociale, configurazioni urbanistiche “utopiche” e “distopiche”.
Ma Kazem lavora soprattutto sulla percezione personale, sullo smarrimento di senso e luogo, applicando la ricerca in forme e media diversi: come attraverso numeri e lettere sparsi in un fiume o su tavole di legno gettate nel mare. Percezione del sé, percezione degli spazi liberi e in movimento, necessità di trovare il proprio “punto” (il punctum dell’immagine fotografica secondo Roland Barthes) nell’immagine del mondo. E anche ansia di valicare i confini, geografici e personali in un contesto geo culturale soggetto a grandi mutamenti. Come dice la curatrice Reem Fadda nella presentazione, il vero valore del lavoro si trova nella sua eccezionale ma semplice forma, che con successo nasconde un‘idea eccezionale e semplicissima.
Lorenzo Taiuti