Un paio di speciali ciaspole per camminare sopra i rifiuti delle discariche; un sombrero a più teste per stimolare la conversazione; coltellini svizzeri giganti che contengono oggetti ripescati dall’immondizia; una clinica temporanea per disturbi psicologici; attività di gruppo, workshop, performance e giochi di ruolo a tema sociopolitico: questo e molto altro è Pedro Reyes, 42 anni, designer impegnato e artista attivista da Città del Messico. Finora poco considerato in Italia, dove ha esposto una volta alla Biennale e una ad Artissima – nel 2009 non era nemmeno tra gli artisti di Las Américas Latinas allo Spazio Oberdan (ma non c’era neanche la guatemalteca Regina José Galindo) – Reyes è tra i nomi più interessanti della scena messicana e sudamericana contemporanea. L’anno scorso la Lisson Gallery l’ha preso con sé e ha subito esposto, nella sua sede di Londra, la sua invenzione più potente e fantasiosa: una serie di strumenti musicali, funzionanti, realizzati coi resti di armi da fuoco dismesse sequestrate ai narcos messicani.
Tutto è iniziato nel 2007, quando ha organizzato una campagna di donazione volontaria di armi da fuoco a Culiacán, una delle città più violente del Messico (e del mondo), il cui metallo è stato usato per farne 1527 badili, donati poi alla comunità per piantare nuovi alberi. L’idea degli strumenti gli è venuta qualche anno dopo, quando il governo di Città del Messico gli ha donato 6700 tra pistole, doppiette e mitragliatrici confiscate ai narcos di Ciudad Juárez. Con l’aiuto di un team di ingegneri del suono, musicisti e fabbri ferrai, ne ha ricavate due serie di strumenti, tutti funzionanti: Imagine, un’orchestra di 50 elementi composta da violini, violoncelli, chitarre, batterie, flauti, xilofoni e via dicendo; e Disarm, una band automatizzata azionata tramite un software.
Sarebbe bello se, un giorno, questi strumenti venissero esposti accanto ai video delle performance di Regina José Galindo, nata e cresciuta in Guatemala, che in quanto a violenza è persino capace di battere il Messico. I due incarnano le due facce di una medaglia: Galindo lavora sull’oggetto della violenza, il corpo, usando il proprio come strumento artistico; Reyes lavora invece sugli oggetti usati per perpetrare la violenza, le armi, trasformandole da strumenti di morte, in strumenti di vita.
Intanto se ne può vedere qualcuno anche da noi. Fino al 18 luglio la Lisson Gallery di Milano ospita Pedro Reyes: Colloquium, la sua prima personale nella sede milanese e la prima assoluta in Italia. Il cuore della mostra sono cinque grandi teste in pietra lavica (messicana), di Lenin, Marx, Che Guevara, Frida Kahlo e David Alfaro Siqueiros, realizzate assieme a un team di artigiani (messicani): un’ironica allegoria del comunismo nelle sue varianti caratteriali, professionali e ideologiche. Negli uffici della galleria si possono vedere alcuni lavori passati, tra cui un mitra/salterio e un revolver/flauto di Pan dalla serie Imagine – più un coltellino svizzero dalla serie Navajas Suizas (2013). Altri quattro pezzi sono esposti a Venezia nella mostra Art or Sound (Fondazione Prada, Ca’ Corner della Regina; fino al 3 novembre), che raccoglie decine di strumenti d’artista, dagli Intonarumori futuristi di Luigi Russolo, al Tavolo monofonico di Laurie Anderson.
Sabato 7 giugno, Massimo Benotto, Stefano Mancini e Riccardo Santorel li hanno suonati in una performance live (qui vedete una foto dell’evento; prossimamente la Fondazione metterà online anche un video). Sempre a Venezia, all’interno di Genius Loci – Spirit of Place (Palazzo Franchetti; fino al 23 novembre), organizzata dalla Lisson Gallery assieme a Berengo Studio in occasione della 14. Mostra Internazionale di Architettura, si può vedere un documentario su Palas por Pistolas.
Stefano Ferrari