“Bisogna essere affacciati su una piazza da tutti e quattro i punti cardinali per conoscerla a fondo, anzi bisogna averla lasciata anche in tutte e quattro le direzioni. (…) Così pure le case. Si capisce cosa c’è in esse solo quando si cerca di trovarne una passando davanti alle altre”, così scriveva Benjamin nel bellissimo Diario moscovita (1926-1927). Queste parole rappresentano la migliore introduzione possibile ad Abstract Journeys, l’opera più recente dell’artista milanese Marco Cadioli, aiutano infatti a capire l’urgenza che scandisce i ritmi di una pratica quotidiana protesa costantemente verso la conquista di una nuova prospettiva.
L’idea alla base dei trips è stata quella di intraprendere un viaggio intorno alla terra, armato di una portentosa lente di ingrandimento tecnologica (Google Earth) e con un obiettivo ben preciso: trovare, tra le forme che gli esseri umani con le proprie incessanti attività danno alla superficie terrestre, motivi pittorici riconducibili all’astrattismo europeo del Novecento. Ecco dunque paesaggi che sembrano usciti dall’officina grafica del Bauhaus, ecco composizioni di elementi naturali e artificiali che riportano alla mente i modelli utopici di El Lissitzky. Proprio l’artista russo aveva sostenuto che è impossibile stabilire un confine certo tra matematica e arte o tra un’opera d’arte e un ritrovato tecnologico (El Lissitzky e Hans Arp, Die Kunstismen, 1925). Questa considerazione permette di andare oltre la mera affinità estetica tra la più recente produzione artistica di Cadioli e l’astrattismo, offre infatti l’opportunità di stringere il fuoco sul punto di contatto più significativo che è costituito proprio dalla relazione tra pattern espressivi e formule matematiche. Ciò che percepiamo in Abstract Journeys sono forme e colori ma, al di là di tale superficie, una trama invisibile di sequenze numeriche rappresenta la reale architettura delle opere – così come accadeva in Vantongerloo che nelle sue creazioni materializzava e dava forma a formule matematiche. L’artista belga esponente del De Stijl è tra i primi ad approfondire la tematica della traduzione in termini visuali di relazioni matematiche e quindi della formalizzazione di processi combinatori; in Cadioli la continua transcodifica visuale-astrazione matematica-visuale è del tutto implicita: è infatti null’altro che il principio alla base dell’attuale civiltà dei computer.
In Abstract Journeys si assiste a un vorticoso saltare da un medium ad un altro. Proviamo a ricostruire questi passaggi: alcuni esseri umani alterano con le proprie attività agricole il paesaggio naturale, conferendogli forme che riportano alla mente motivi pittorici caratteristici dell’astrattismo europeo; le immagini di tali paesaggi sono catturate da satelliti orbitanti intorno alla terra; altri esseri umani (lavoratori immateriali, forse impiegati di Google) trasformano le fotografie in texture ovvero in una sorta di pelle che viene applicata sul ‘corpo’ di modelli bidimensionali e tridimensionali; i modelli virtuali così ottenuti divengono navigabili attraverso Google Earth; qui Cadioli inizia i propri viaggi e la propria ricerca formale. Non esiste ovviamente alcun intento estetico nelle attività pratiche con cui gli esseri umani, con il concorso delle macchine, modificano il paesaggio – è l’artista infatti che, guardando da una prospettiva impossibile (l’occhio del satellite, appunto), legge sul territorio segni che egli interpreta come motivi pittorici. Ad ogni incontro significativo scatta fotografie, in altri frangenti preferisce invece che il flusso di dati digitali continui a scorrere e realizza quindi riprese video. Come è facile intuire, questo continuo transitare da un medium all’altro lascia, ad ogni passaggio, preziose eredità, un ulteriore livello che, aggiungendosi agli altri, fa sì che le opere di Cadioli assumano consistenza attraverso la stratificazione di linguaggi e tecnologie mediali, metafore e convenzioni condivise, grammatiche e procedure specialistiche, forme e significati continuamente centrifugati nei processi sociali.
Cadioli si diverte ad utilizzare Google Earth come un pennello attraverso il quale riprodurre sul proprio schermo pattern espressivi dell’inizio del secolo passato. Gioca a dare forma alla terra e, in questo suo trasformarsi in demiurgo, mostra di non essere vittima di quella “vergogna prometeica” che tanto ha afflitto l’individuo moderno nel confronto con le proprie creazioni macchiniche.
Le illusioni di ordinare l’universo in base al proprio gusto estetico offerte dalla tecnica contemporanea, sono sicuramente tali da indurre quella “inedita vertigine del sublime tecnologico” della quale ci parla Mario Costa, si tratta dunque di un “sublime domesticato” che – in quanto tale – può aprirsi a una fruizione “socializzata e controllata” (Il sublime tecnologico, 1990). Non più quindi il terrore provocato da eventi naturali e da potenze non addomesticate, ma un “terrificante tecnologico” che viene disinnescato, proprio nei suoi aspetti più terrificanti, grazie all’estetica delle comunicazione.
Cadioli, d’altronde, non commette nemmeno l’errore di ritenere che la tecnologia sia piegata ai desideri e alle finalità umane, egli piuttosto – alla Flusser – considera il fotografare un insinuarsi all’interno del mezzo per carpirne i segreti, si connette dunque al medium fotografico, si confonde con esso e sperimenta una situazione nella quale non è più possibile dire chi tra l’essere umano e l’apparecchio sia la variabile e chi la costante.
Il medium fotografico non è un qualche utensile attraverso il quale modificare la realtà esterna, è invece un dispositivo ludico che avvince il fotografo in un gioco nel quale non potranno mai essere esaurite tutte le mosse. L’impossibilità che il gioco abbia fine libera Cadioli da ogni velleità di prevalere sul mezzo, così come da ogni timore di uscirne sconfitto; egli prosegue il suo ‘giocoso girovagare’ in Rete e nel far ciò continua a regalarci vertigini di sublime tecnologico, visioni nelle quali siamo liberi di percepire ciò che ci pare: motivi pittorici astratti, rappresentazioni di algoritmi matematici o paesaggi naturali alterati dall’intervento di ‘esseri umani’.
Vito Campanelli
D’ARS year 52/nr 209/spring 2012