Se a Londra può essere assegnato il titolo di capitale del sistema dell’arte urbana, Berlino ne è in un certo modo l’anti-capitale, una città dove il fronte artistico non è ancora completamente incapsulato in una struttura coerente, abita un porto semi indipendente, una terra dove la mediazione coincide all’inverso con la sperimentazione, dove l’arte urbana non commissionata, pur essendo illegale, ricopre ancora un ruolo significativo, plasmando un ambiente che rimane ancora tra i più autentici e prosperi in Europa.
Quale simbolo dei destini controversi di Berlino, la vicenda del Muro è il principale nodo da sciogliere nel filo di ogni racconto che riguardi questa città, a maggior ragione quello dei graffiti. Proprio quest’ultimi rappresentano sino al 1989 le facce opposte di due remoti universi che si specchiano su questa lunga cortina di calcestruzzo. Da un lato, quello orientale, superfici grigie e immacolate riflettono i sistemi di rigida sorveglianza operati dalle autorità della DDR. Dall’altro, quello occidentale, l’indifferenza istituzionale adottata nei confronti di questo sbarramento voluto dall’Est rende possibile, sin dai primi anni Sessanta, la comparsa di graffiti: messaggi politici, per lo più, ma che negli anni risentiranno dell’influenza dei vari scenari creativi che andavano nascendo oltreoceano.
Attorno alla metà degli anni Ottanta, gli interventi di Thierry Noir e Christopher Bouchet, seguiti da Keith Haring e altri artisti, ribaltano completamente – con discordanti visioni di opportunità – lo status quo del muro, da oggetto respingente ad attrazione turistica. Oggi, testimonianza di quegli anni, rimane l’East Side Gallery, la più lunga striscia di muro ancora inerte (1,3 km), interamente dipinta – il bacio dei leader comunisti e la Trabant che rompe il cemento sono ormai autentiche icone dell’immaginario comune – da un centinaio di artisti a partire dal dicembre 1989. Questo lato del muro sulla Mühlenstrasse, preservato a rango di monumento nazionale, nasconde la, invece, sempre mutevole fronte che guarda alla riva dello Spree, frontiera del writing berlinese, riproponendo la dialettica tra le due facce del muro in una città unita.
L’occidentalizzazione di Berlino Est, se mai è avvenuta, lo ha fatto anche sulle corde degli American graffiti, negli anni Novanta divenuti emblema di espressione e comunicazione libera sui muri di Friedrichshain, Mitte, Prenzlauer Berg. Berlino, da allora, si caratterizzerà come una città, contrariamente a molte città occidentali, tutt’altro che repressiva nei confronti dei diversi linguaggi di strada, e i graffiti, poi la Street art, diventeranno un pilastro della proverbiale Berliner Strassenkultur e della sua carismatica atmosfera dismessa ma al tempo stesso aggregante e vitale.
Una città spossata dal blocco della Guerra Fredda, economicamente zoppicante, ha cercato obbligatoriamente di guardare a questi fenomeni non come una piaga sociale ma come a una possibile risorsa attrattiva. Pene non particolarmente severe e pulizia delle pareti saltuaria – alcuni muri e portoni tra Friedrichshain e Kreuzberg sono fittamente intarsiati di linee e disegni, stratificati uno sull’altro – hanno contribuito nel rendere Berlino la “città più bombardata (da graffiti) in Europa”1, nonostante oggi le autorità si dimostrino più sensibili ad arginarne la portata, in particolare le sortite delle crew sulla U-Bahn (metro) e S-Bahn (ferrovia suburbana)2.
Nelle strade della capitale tedesca le regole del gioco prevedono spesso forme di relazione visiva semplici e distintive, nonché reiterazione insistita. 4rtist.com, conosciuto comunemente come Mr. 6, compie ogni giorno la medesima operazione dipingendo un semplice numero a pennello, o altre brevi sigle, in ogni possibile punto della città: dal 1995 sostiene di aver lasciato almeno 650.000 tracce del suo passaggio. In termini di icona è possibile, piuttosto, parlare del giallo pugno disegnato da Kripoe, writer della CBS, storica crew berlinese attiva principalmente nel decennio tra 1995 e 2005. Bellicoso e irriverente, le sue continue apparizioni nei punti di vista più ricercati gli sono valse uno dei primati di riconoscibilità a Berlino e non solo3.
Tra quelli che puntano alla diffusione massiccia, in questo caso del nome, ci sono anche i membri della 1UP crew (One United Power), che dal 2003 ad oggi, per numero, modalità di azioni – impostate su un vero e proprio sistema di guerriglia artistica urbana – e presenza mediatica sul web sono tra le crew di writer più attive in tutta Europa.
Originaria di Kreuzberg, la sua notorietà si basa strategicamente sul far valere l’unione del gruppo sul particolarismo di ogni singolo writer, cosicché la scritta 1UP diventa l’unica possibile firma, da veicolare attraverso ogni sorta di mezzo e veste espressiva – dai rulli agli sticker, dai blocchi argentati ai throw-up cromaticamente accesi – e con azioni al limite che si spingono sino al bloccaggio in pieno giorno di treni in servizio. Le cime dei palazzi di Berlino sono un’altra potentissima sorgente di adrenalina.
Le imprese sui tetti degli irrequieti 1UP, a cui aggiungiamo Just, anch’egli specialista di rooftop actions, riscrivono il panorama dei cieli della metropoli. La conquista degli heaven4 migliori è favorita dalla grande abbondanza di edifici e complessi industriali abbandonati, retaggio di un passato recente, ora diversamente occupati e utilizzati da writer e street artist a proprio piacere, come mostra il Raw Tempel a Friedrichshain.
Egidio Emiliano Bianco
1 New York Times, 2008.
2 La Deutsche Bahn nel 2013 ha pensato all’introduzione di droni di sorveglianza nella lotta antigraffiti.
3 Il pugno giallo è una presenza costante anche tra le strade di Istanbul.
4 Così vengono chiamate in gergo le zone più inaccessibili, prestigiose quanto rischiose, su cui dipingere.