[Continua da Urban Art Map: Londra (Parte 1)]
Lo scenario è di quelli ingombranti e rigogliosi. Osservando ogni spazio che il nostro occhio raggiunga, Londra si svela nelle mascotte naif e ricorrenti dei membri della Burning Candy crew, a Shoreditch, nelle sagome a misura d’insetto di Pablo Delgado – che compete in questa particolare specialità con gli omini di Slinkachu – e le miniature di Ben Wilson su chewing gum incollate al marciapiede.
I mattoni rossi di Bricklane significano gli idoli esotici e ornamentali di Cityzen Kane, che insieme ai draghetti di Ronzo e ai funghi policromi di Christiaan Nagel, vedette delle cime della città, rappresentano la parte plastica dell’arte urbana londinese. Quando scende la sera e chiudono i negozi non è difficile scorgere sulle saracinesche l’alfabeto di Eine o la colorata fauna di Malarky. Infine, può capitare di uscire la mattina presto e trovare sotto casa una nuova opera di Banksy. L’elenco potrebbe continuare a lungo: tutto questo è tipicamente Londra e nessun’altra città.
Le indicazioni della Street art nella città della regina puntano decisamente a Est, East End per la precisione. Difficilmente in altri luoghi del mondo, con l’unica esclusione di Wynwood a Miami, l’economia della Street art è stata e continua a essere così strettamente legate a un’area, tanto che Shoreditch, fulcro di questa attività territorialmente delimitata, è ormai suo conclamato sinonimo. Il cosiddetto “Shoreditch Triangle”1 con le appendici di Hackney Road e Brick Lane, sede della comunità bengalese, forma un caleidoscopico polittico di disegni e cromie su mattoni.
Su queste strade germina intorno alla metà degli anni Novanta e mediante il medium dello sticker la prima ondata di street art locale, poi è il turno di Banksy, a cavallo del nuovo millennio: è lui la stella polare dell’East End, nel quale concentra la sua prima attività londinese e organizza la sua prima mostra clandestina. Oggi si può affermare che su questi muri siano passati nell’arco di un ventennio tutti i più grandi nomi del panorama mondiale.
Shoreditch, da quartiere derelitto attraversato da criminalità e malessere e divenuto negli anni Novanta colonia di giovani artisti per i suoi affitti a buon mercato, è da diversi anni una mecca delle arti urbane. Intanto si esperiscono gli effetti di una sensibile gentrificazione che ne ha fatto un’area dinamica e alla moda, dove le gallerie si affacciano su bar e locali glamour, a loro volta esposizioni di muri dipinti, come nel caso del Cargo bar di Rivington Street.
Tra queste vie tutto sembra possibile, anche dipingere in pieno giorno sotto gli occhi delle autorità, perché se è vero che buona parte delle opere sono legali2, in quanto commissionate da gallerie, esercizi commerciali o proprietari immobiliari, è altrettanto vero che la consuetudine e l’associazione alla street art sono talmente forti che sembrano aver ingentilito le conseguenze di azioni illegali che, invece, al di fuori di quest’area sono sempre più aspre, anche a seguito dell’ulteriore potenziamento delle misure di ordine pubblico e di sorveglianza (CCTV) dopo gli attentati del 2005. In questo senso Shoreditch si fa valvola di sfogo, recinto funzionale al contenimento del fenomeno. Tale scenario, di forte impatto e interesse, è facilmente penetrabile da logiche commerciali e promozionali che in certi casi riescono a prendere il sopravvento e a mescolarsi con le più disinteressate ragioni artistiche. Londra, sin dagli esordi della street art nel palcoscenico mediatico, si è sempre distinta come mercato privilegiato e numerose gallerie sono sorte a contendersi i migliori artisti del pianeta; Bhonams, casa d’aste londinese, detiene la leadership nel settore urban art. L’indotto speculativo generato trova stimolo anche nel turismo alternativo, che offre una miriade di tour artistici alla scoperta di muri salienti e luoghi simbolo, Village Underground ad Holywell Lane su tutti.
Molto meno calamitanti dell’East End, altre aree della capitale anglosassone presentano comunque un buon richiamo. Oltre all’ultra turistica Camden, a Dulwich, nelle estremità meridionali di Londra, tra 2012 e 2013, rinomati street artist hanno re-interpretato dipinti di antichi maestri della Dulwich Picture Gallery. A Waterloo, le pareti del tunnel di Leake Street, sotto la stazione, sono un oasi di riparo per gli artisti dello spray, scenario di fondamentali manifestazioni: dal celebre Cans Festival organizzato da Banksy nel 2008, all’ottimo Femme Fierce, festival tutto al femminile.
L’investitura istituzionale di prestigio giunge dalla Tate Modern nel 2008: la mostra Street Art, curata da Cedar Lewishon, porta per l’occasione grandi nomi internazionali a dipingere sui mattoni dell’ex centrale elettrica adibita a museo e segna un passo fondamentale nell’ormai acquisito ingresso di una parte del fenomeno nel sistema dell’arte contemporanea. Quando ciò accade, può capitare che la street art, possibile concorrente di gentrificazione di un’area, gentrifichi se stessa e che artisti esterni, scelti dall’alto, vengano mandati a colonizzare pareti già occupate da artisti indigeni, meno considerati ma espressione del luogo, come accaduto durante i recenti Giochi Olimpici del 2012 nell’area di Hackney Wick. Contraddizioni incluse, Londra rimane un costante centro di attrazione, trasformazione e propagazione.
Egidio Emiliano Bianco