L’Oberbaumbrücke, il turrito ponte di mattoni rossi sullo Spree, oggi riunisce Berlino tra i quartieri di Kreuzberg e Friedrichshain – dal 2001 accorpati in un unico distretto – i cui muri traboccanti di graffiti, da una parte e dall’altra di questo camminamento, descrivono il cuore pulsante della Strassenkultur Berlinese (vedi Berlino parte 1).
Con la costruzione del muro nel 1961, la geografia urbana di Kreuzberg subisce un brusco squilibrio, facendo scivolare l’area dal centro di Berlino alla periferia di Berlino Ovest, ultimo avamposto del mondo occidentale. Immigrati turchi sostituiscono gli abitanti locali in una zona divenuta improvvisamente, chiusa com’è su tre lati dal muro, di poco interesse. Anarchici e poi artisti li seguono in quello che diverrà l’epicentro dei movimenti controculturali berlinesi; i pochi controlli della polizia, oltre che sensibilizzare un certo degrado, favoriranno artisti come Thierry Noir, che, proprio in questa porzione del muro, nel 1984 completa i suoi primi disegni. La trascuratezza della pulizia dei muri e dei manifesti appiccicati uno sull’altro sono solo la superficie rimasta di un corpo urbano e sociale che ha subito profonde trasformazioni nel tempo: da area negletta è tornata a essere centro della Berlino riunificata, meta di turismo alternativo, luogo ricercato da studenti, da una borghesia solida e, sempre più, da catene commerciali e imprese immobiliari.
Il tema complesso del rapporto tra gentrification e street art ritorna puntuale per ogni grande città, ma qui a Kreuzberg si arricchisce di un episodio significativo e soprattutto inedito. Nel dicembre 2014 lo street artist italiano Blu cancella in una notte le sue due celebri murate Chain e Brothers di Cuvrystrasse, divenute dal 2007-2008, anni della loro realizzazione, iconiche porte di accesso a Kreuzberg dall’Oberbaumbrücke e simbolo della Berlino contemporanea. Con questo gesto clamoroso Blu lancia non solo un atto di protesta verso i progetti di riqualificazione capitalistica dell’area delle facciate – precedentemente sede di una piccola comunità di occupanti anarchici e creativi – ma per la prima volta, forte della sua proverbiale verve critica, rivendica la gratuità della street art su ogni possibile rischio di partecipazione ad esterni interessi economici e finanziari, nonché la sua temporaneità al di sopra di ogni possibile tipo di concetto conservativo, per opere ormai da tempo incluse in numerose guide turistiche della città.
Il volto di Kreuzberg, al netto della perdita di questi due lavori, rimane in ogni caso attrattivo: lo stesso Blu è presente con ulteriori tre opere, e diverse grandi facciate ne delineano i tratti somatici più rilevanti.
L’astronauta di Victor Ash, realizzato nel 2007 per il Backjumps Festival, ricorda la corsa allo spazio dell’era della Guerra Fredda, fluttuando leggero nel cielo sopra Berlino.
Più comuni ad altri panorami urbani, benché egualmente emblematiche nel repertorio figurativo locale, sono la parete del gigante di Os Gemeos, dove il faccione si specchia di giallo sui vagoni della U-Bahn che transitano soprelevati a poche decine di metri, e quella di Roa, la cui natura morta penzolante condivide il muro con il più recente lavoro degli svizzeri One Truth (2013); quasi a intitolarli entrambi, lo slogan degli 1UP al tetto recita laconico: “Love Art, Hate Cops”.
Sull’altra sponda dello Spree, passato il ponte, ecco Friedrichshain, centro nevralgico dell’ex Berlino Sovietica; qui la DDR realizza a partire dagli anni Cinquanta uno dei progetti urbanistici e architettonici più ambiziosi: la riorganizzazione di quella che poi verrà ribattezzata la Karl-Marx-Alle. Un lungo e ampio boulevard, pensato come strada di rappresentanza della Repubblica Democratica Tedesca, impreziosito da imponenti edifici uniformati allo stile del classicismo socialista, poi abbandonato, nella continuazione verso Alexander Platz, a favore di più funzionali blocchi prefabbricati. I plattenbauten – così sono chiamati questi complessi abitativi in voga negli anni Sessanta – affascinano la creatività di Evol, artista locale che, attraverso lo stencil, li riproduce in miniatura su ogni superficie utile, a partire dai box grigi dell’elettricità, che ne ricordano la forma e il colore.
Dalla scena monumentale a quella post-industriale, venatura del corpo moderno della città: nell’area di Revaler Strasse Friedrichshain mostra il suo lato più “sporco” nei club underground, nei locali e centri di aggregazione ricavati in vecchi depositi ferroviari. Di questo insieme decadente, i muri del Raw Tempel e dell’Urban Spree meritano sicuramente un sopralluogo.
Molto interessante, qualche centinaio di metri più a nord, all’imbocco di Niederbarnimstrasse, è uno spontaneo e ricchissimo – una sorta di “Wall of Fame” – agglomerato di paste-up, medium di elevata popolarità a Berlino grazie ad un’alta tollerabilità e, in caso contrario, trascurabili conseguenze. Dalle sagome di Alias ai santi contemporanei di Various & Gold, dai poster a puntate di El Bocho – quelli della bambola Little Lucy – ai messaggi di Linda’s Ex, che con le sue fittizie pene amorose appassiona i berlinesi nel 2003: molti tra i più noti artisti locali utilizzano la carta incollata e ne fanno la protagonista di una comunicazione brillante e di successo tra i passanti.
Egidio Emiliano Bianco