LPM Live Performers Meeting – festival internazionale meeting dedicato al veejaying e alle performance live video a Roma, per l’edizione del 2015 (appena conclusa) proclamava: “445 artists from Hungary, Italy, Germany, Vietnam, Netherlands, Cyprus, United Kingdom, Argentina, Uruguay, United States, Spain, Australia, Turkey, Czech Republic, Latvia, Slovenia, Austria, France, Serbia, Belgium, Romania, Poland, Greece, Yugoslavia, Portugal, Ireland, Estonia, Switzerland, Japan, Brazil, Ukraine, China, Korea South, Finland, India, Senegal, Mexico, Denmark, Canada, Bolivia, Israel, Taiwan, Bulgaria, Sweden, Belarus, playing 218 performances”. Ed è vero. L’enorme diffusione della pratica del VJNG copre una quantità di paesi, meno forse i paesi arabi. Ma so che in Egitto e Marocco per esempio viene praticato.
È necessaria un’analisi più approfondita: è un linguaggio effimero che scomparirà presto o un linguaggio in crescita verso risultati inattesi? Entrerà nella sfera museale e nelle vendite di Sotheby’s a prezzi da opera d’arte come certa Street art? Sarà mercificato oppure marginalizzato da altri nuovi linguaggi audiovisivi?
UN LINGUAGGIO SENZA MEMORIA?
Il VJing come spettacolo visivo unito alla cultura della “frenesia sensoriale” di musica/danza/immagine è una strategia comunicativa. Resta però difficile da analizzare essendo una serie di linguaggi ricomposti in termini video-filmici e di montaggi di sonorità elettroniche. È problematico perché, come la Street art, i segni appartengono a una “terra di mezzo” di estetica-anti-estetica, sono segni, sequenze, foto, comics, videogame, memorie visive metropolitane, raccolti da tutte le fonti possibili e ri-assemblati in modi ogni volta diversi secondo una “strategia dell’impulso ritmico” non codificata né regolata.
LE EMISSIONI TECNO-SONORE COME IMMAGINE
Malgrado questo “free for all” si creano delle aree tematiche: una privilegia l’immagine prodotta dal suono o influenzata dalla manipolazione digitale. L’altra il missaggio di sequenze analogiche. Le varianti sono infinite, ma la strategia fondamentale è l’iterazione ossessiva, con una tempistica irregolare e con una regola di ritorno di sequenze che fa da filo conduttore della performance. Il modello formale viene dato dalla musica DJing live con le sue trame di ritorno sequenziale e con il collage combinatorio e infinitamente remixato di musica e suono prodotto digitalmente, e più alla lontana dal jazz d’improvvisazione. C’è un atteggiamento mutato del pubblico per cui la proiezione d’immagini viene sempre più seguita visivamente, non solo frammentata dai movimenti del corpo durante la danza ma come sequenza d’immagine. Da seguire con un’attenzione che ricorda la visione cinematografica, dove però il flusso di immagini ritmate “racconta” non per fatti ma per percezioni.
UN CINEMA DI “PERCEZIONI NARRATIVE”?
La formula del Vjing è un ritorno interessante ai linguaggi del cinema sperimentale e della videoarte: nelle performance live ritornano da sempre numerose citazioni, i frammenti di un archivio d’immagini infinito (cinema, tv, pubblicità… ) potenziato e ridiffuso dal web. È pensabile una narrazione visiva che coincida con l’andamento di sequenze sonore quasi random? Nella musica classica elettronica l’area d’avanguardia ha iniziato negli ultimi anni a lavorare su colonne sonore per il cinema muto, arrendendosi alle assonanze e dissonanze fra musica e immagine.
I LINGUAGGI SELVAGGI
Bricolage di software, collage visivo, ibridazioni linguistiche e massima libertà sono lo spirito che attrae sempre nuovi gruppi in un campo linguistico “selvaggio”.
L’ipotesi di un linguaggio “selvaggio”, che parte dal basso e che si introduce nel sistema dell’arte è quanto è già successo con la Street art, partendo dal graffitismo degli anni settanta fino alle quotazioni milionarie dei collezionisti di Banksy. Questo passaggio del VJng nel sistema dell’arte non è ancora avvenuto.
ROMA VJING
Ben sei manifestazioni si sono sovrapposte in questi sei mesi a Roma (è la prima volta). Fra queste il Festival LPM ha inondato la città con proiezioni e musica sia in interni che in esterni, alla Sapienza come al cinema Aquila. Fra le varie crew, si trovano LunchMeat, EAREYES, AVATAR, Genius Loci e centinaia d’altri, troppo numerosi per essere elencati. Alla Sapienza è in primo piano la proiezione di videomapping sugli edifici che si prestano, nella loro severa geometria razionalista, alle funzioni di schermi tridimensionali. È anche nella tendenza a invadere lo spazio esterno della città che si crea il confronto con la Street art, con in più l’onnivora invadenza dei primi videoclip degli anni ottanta e i limiti della notte per le necessità di proiezione. Quella che dunque possiamo definire VJ Art, è una forma espressiva finora senza memoria, e, credo, ha necessità di averla: analizzare, delimitare, classificare. L’arte pubblica possibile con il vjmapping (unione tra vjing e videomapping) è un’altra delle possibilità importanti da indagare insieme all’ipotesi forse più complessa e difficile: quella di sviluppare una specie di “cinema live” che porti alle ipotesi interattive dei linguaggi audiovisivi di oggi.
Lorenzo Taiuti