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Ugo La Pietra. Progetto Disequilibrante

Che Ugo La Pietra fosse una personalità raminga, dotata di un ingegno prismatico, capace di peregrinare tra le discipline e i linguaggi, i movimenti e le tendenze, senza mai fossilizzarsi in un singolo campo di (cre)azione, è largamente risaputo. Più difficile, invece, risulta entrare in contatto con la mole sterminata e incredibilmente varia delle sue opere, dei progetti ideati e delle ricerche condotte nel corso di oltre mezzo secolo di attività.

Ugo La Pietra - Progetto disequilibrante, veduta della mostra, Triennale di Milano. Foto Dario Zampiron
Ugo La Pietra. Progetto disequilibrante, veduta della mostra, Triennale di Milano. Foto Dario Zampiron

Un’opportunità in tal senso viene ora offerta dalla mostra Ugo La Pietra. Progetto Disequilibrante, in corso alla Triennale di Milano fino al 15 febbraio 2015. Organizzata dal Triennale Design Museum e curata da Angela Rui, la mostra permette di conoscere a fondo la vulcanica produzione di questo Maestro dal pensiero “destrutturante”, nato a Bussi sul Tirino (PE) nel 1938 ma milanese d’adozione. Più che una retrospettiva (definizione non amata da La Pietra), Progetto Disequilibrante è una smisurata raccolta di “reperti, frammenti, ricerche sviluppate in tanti anni, materiale molto complesso”, come ha spiegato lo stesso autore, che di sé ha sagacemente detto: Sono un architetto senza aver mai fatto una casa, un designer che ha ideato 2.500 oggetti senza che siano mai stati messi in produzione, un artista che dipinge fin dagli anni Sessanta e tuttora lo fa senza mai essere entrato nel sistema dell’arte. Uno statement che la dice lunga sull’indole anticonformista di La Pietra e sulla natura fortemente sperimentale del suo lavoro, costantemente teso all’imprevisto e all’azzardo.

Ugo La Pietra - Progetto disequilibrante, veduta della mostra, Triennale di Milano. Foto Dario Zampiron
Ugo La Pietra. Progetto disequilibrante, veduta della mostra, Triennale di Milano. Foto Dario Zampiron

Architetto di formazione (si laurea al Politecnico di Milano nel 1964), designer, artista, cineasta, editor, docente e persino musicista jazz (suona il clarinetto), La Pietra è stato più di ogni altra cosa un incontenibile scrutatore della realtà urbana e sociale, di cui spesso e volentieri ha messo in luce le incoerenze, le falle e le ombre, con lungimiranza, acume e, sovente, una sana dose di umorismo. Nell’arco degli ultimi cinquant’anni, incurante di dogmi, confini o preconcetti, Ugo La Pietra ha lasciato significative impronte in molteplici ambiti disciplinari. Difatti, visitando la mostra, è impossibile non restare spiazzati di fronte allo straordinario eclettismo che contraddistingue la sua ricerca. Le oltre mille opere esposte, tra documenti, oggetti, ambienti, ricerche e progetti ibridi, sono allestite secondo undici sezioni tematiche, ognuna volta a inquadrare ed evidenziare uno specifico aspetto della sua poliedrica attività, attraverso un percorso che, procedendo per macro-concetti, ne restituisce bene la strabordante complessità, senza per questo risultare ostico.

Ugo La Pietra, Immersione - Caschi sonori. Installazione alla Triennale di Milano (con Paolo Rizzatto), 1968. Courtesy Archivio Ugo La Pietra
Ugo La Pietra, Immersione – Caschi sonori. Installazione alla Triennale di Milano (con Paolo Rizzatto), 1968. Courtesy Archivio Ugo La Pietra

Sin dalle prime sezioni, Fenomenologia di Ugo La Pietra, Mente-Spazio e Corpo-Spazio, si palesa il principio di Sinestesia tra le arti da sempre professato dall’autore. Opere come Rottura di una maglia programmata (1965) e Deformazione di un campo tissurato (1966), esemplificative di quella pittura “segnica” e “randomica” che La Pietra pratica a partire dagli anni Sessanta, o come i dispositivi “immersivi” Casco Sonoro e La Nuova Prospettiva (entrambe del ‘68), che portano a leggere ed esperire la realtà in maniera nuova e più consapevole, sono chiare testimonianze dell’avversione di La Pietra verso i valori omologati e, soprattutto, verso la separazione “fittizia tra le discipline”, che viene sbaragliata giocando le carte dell’intersecazione e della commistione, sia sul piano teorico sia su quello progettuale.

Ugo La Pietra, Immersione Uomouovosfera, 1968. Courtesy Archivio Ugo La Pietra
Ugo La Pietra, Immersione Uomouovosfera, 1968. Courtesy Archivio Ugo La Pietra

Procedendo nel percorso espositivo, la sezione Interno disequilibrante mostra efficacemente l’applicazione delle teorie destrutturanti di La Pietra nel campo degli interni, attraverso alcuni progetti ideati tra fine anni Sessanta e inizio Settanta, dove è l’utilizzo dei piani inclinati a svolgere un ruolo primario. Metto in crisi gli spazi codificati e ne svelo nuovi possibili usi percettivi e funzionali, dichiara l’autore a proposito di uno dei progetti più significativi in tal senso, Occultamento, formulato nel 1974 per gli alloggi popolari Gescal. Ma sono soprattutto le sezioni centrali della mostra, Abitare la città e Identità e memoria, a pungolare la mente e lo sguardo dello spettatore, mettendo in moto un vortice di ricordi, riflessioni e impressioni, e confermando la singolarità e l’importanza del “sistema disequilibrante” espresso da La Pietra, che ha sempre operato come una sorta di “scheggia impazzita” (nell’accezione buona del termine) nel settore delle arti, del progetto e della cultura in senso lato.

Ugo La Pietra, Abitare +¿ essere ovunque a casa propria, performance, Linz, 1979. Courtesy Archivio Ugo La Pietra
Ugo La Pietra, Abitare +¿ essere ovunque a casa propria, performance, Linz, 1979. Courtesy Archivio Ugo La Pietra

Applicando alla lettera claim come Abitare è essere ovunque a casa propria o esortazioni come Cerchiamo la forma che nasce dalle nostre esperienze invece che dagli schemi imposti, La Pietra ha esplorato i contesti urbani in vorticosa trasformazione dell’Italia degli anni Settanta, soprattutto la città di Milano, individuando e proponendo sistemi alternativi per vivere lo spazio pubblico. Invitando a guardare il mondo stesi sull’iconico Commutatore (1970), dotando una palina stradale di ali in plexiglass per potersi trasformare tutti in “arcangeli metropolitani”, setacciando le periferie alla ricerca dei materiali di scarto utili per un ripensamento del territorio, diffondendo istruzioni per l’uso della vostra città attraverso canali come la rivista Brera Flash (una delle pubblicazioni ideate dall’autore, insieme a In e Progettare INPIÙ), La Pietra non ha inteso soltanto riscaldare e addolcire il rapporto uomo-città, ma ha suggerito diverse modalità per liberarsi dei vincoli imposti e per riappropriarsi dello spazio urbano, in aperta polemica con i modelli esistenti. Sono tanti e diversificati i lavori presenti in mostra che vanno in questa direzione: dalle testimonianze fotografiche delle performance urbane di stampo situazionista, alle documentazioni legate alla serie di laboratori Global Tools e a indagini sociologiche come Il desiderio dell’oggetto (1973), interessante spaccato sui piccoli sogni quotidiani di un nutrito ed eterogeneo gruppo di persone.

Ugo La Pietra, Il Commutatore, 1970. Courtesy Archivio Ugo La Pietra
Ugo La Pietra, Il Commutatore, 1970. Courtesy Archivio Ugo La Pietra

Tutta da esplorare anche la sezione Identità e memoria, dove a catturare l’attenzione è soprattutto la notevole installazione strutturata a mo’ di scaffalatura contenente decine e decine di scatole che fungono da archivio della memoria “tridimensionale” (memoria profonda, fatta di esperienze e di vissuto, a cui si è sostituita pian piano la memoria “bidimensionale”, piatta e priva di una scala di valori, secondo La Pietra). Affascina e incuriosisce per la sua varietà la sezione Controcampo: sperimentare itinerari sommersi, posizionata proprio nel cuore del percorso espositivo e allestita come una sorta di Wunderkammer colma di ceramiche dalle forme più estrose. Un assortimento che denota il forte interesse di La Pietra per la manualità, il sapere artigiano e le tradizioni locali: interesse mai sopito e manifestato fin dagli anni Ottanta, quando tali valori erano ancora ben lungi dall’essere riscoperti e rivalutati.

Ugo La Pietra, Ci+¦ che resta e ci+¦ che sar+á del design italiano. Serie F.lli Boffi, 2014. Foto Max Rommel
Ugo La Pietra, Ciò che resta e ciò che sará del design italiano. Serie F.lli Boffi, 2014. Foto Max Rommel

Il percorso espositivo prosegue con le sezioni L’invasione mediatica: il mondo dentro casa e Oltre le mura: Interno Esterno, che focalizzano l’attenzione sulla dimensione domestica, con particolare enfasi sull’influenza, non sempre positiva, che informatica e tecnologia hanno via via esercitato sulla vita casalinga, e sull’apertura dello stesso spazio domestico verso l’esterno. Straniante e precorritrice a tale proposito è l’installazione Un pezzo di strada nella stanza o un pezzo di stanza nella strada? del 1979. La mostra si chiude con le sezioni Il Giardino del ‘700: un modello teorico, che pone in rilievo l’attenzione di La Pietra per la peculiare identità del giardino (soprattutto all’ideale sintesi tra spettacolarità e concettualità propria del  giardino settecentesco), e Territori paesaggio e visione, che presenta un corpus atipico di lavori, composto da segni, oggetti, scritture e recenti sperimentazioni, utile a ricomporre la personale “territorialità” di La Pietra.

Ugo La Pietra, Negozio Altrecose, Milano (con Paolo Rizzatto e Aldo Jacober), 1969. Courtesy Archivio Ugo La Pietra
Ugo La Pietra, Negozio Altrecose, Milano (con Paolo Rizzatto e Aldo Jacober), 1969. Courtesy Archivio Ugo La Pietra

Temo che non verrà capita da nessuno, ha affermato La Pietra tra il serio e il faceto a proposito di questa mostra. In realtà, si tratta di un timore infondato: Progetto Disequilibrante è un’esposizione iper-stratificata e polisensoriale, che affronta questioni ampiamente condivise, chiamando in causa e sviscerando il rapporto individuo-ambiente, l’antitesi pubblico-privato, i mutamenti sociali e urbani avvenuti in Italia dagli anni Sessanta a oggi: ciascuno può trovare il suo grado di avvicinamento e di coinvolgimento in una mostra così densa e stimolante. Niente toccata e fuga, Progetto disequilibrante va gustata e metabolizzata lentamente, richiede e merita del tempo e una buona soglia di attenzione, anche con l’ausilio del bel catalogo edito da Corraini. È, insomma, una mostra in cui perdersi e ritrovarsi, e non poteva essere altrimenti al cospetto di una personalità così profondamente sfaccettata ed esuberante come quella di Ugo La Pietra.

Francesca Cogoni

Ugo La Pietra. Progetto disequilibrante
Triennale di Milano, Viale Alemagna 6, Milano
Fino al 15 febbraio 2015

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