Presentato al Festival di Cannes 2014, il 29 gennaio arriva nelle nostre sale Turner, monumentale ritratto del pittore inglese James Mallord William Turner che ha segnato la storia dell’arte dell’Ottocento e dei secoli a venire. Il regista e sceneggiatore Mike Leigh si concentra sugli ultimi anni di vita dell’artista, quando è già un pittore affermato e riconosciuto, perchè “Turner è un film che parla del rapporto difficile e conflittuale tra un comune mortale e la sua arte eterna, tra la sua fragilità e la sua forza”. Il lavoro di Leigh insegue così un equilibrio difficile tra gli aspetti della vita privata, intima dell’artista (il legame con il padre, la presenza costante della damigella, le figlie rinnegate) e quelli della sua vita sociale, pubblica (il rapporto con i mercanti, l’Accademia, la critica dell’epoca) presentandoci un genio senza le sbavature di un biopic lezioso.
Da una parte, dunque, la sfera privata. Dopo una primissima scena in esterno, accenno al ruolo che natura e viaggio hanno avuto nella sua vita creativa, Turner è presentato nell’ambiente famigliare, nella casa di Londra dove vive assieme al padre e alla damigella, che lo attendono con trepidazione. Presenze fondamentali, padre e damigella sono trattate con riguardo da Leigh, che su di loro indugia a lungo. Turner è profondamente legato al padre che, semplice barbiere, dopo averlo avviato al disegno ne diventa aiutante, assistente e promotore; sebbene ne riconosce i meriti, Turner non sottrae il padre alla fatica di lavori pesanti (tagliare la legna o preparare i colori) e non ammette distrazioni per aiutarlo.
La damigella è un’altra figura che definisce la contraddizione umana di Turner, combattuto tra solidarietà ed egoismo, riconoscenza e cecità. Personaggio in ombra, la povera donna vive sottomessa al suo padrone, al quale si concede con gioia per lasciare che lui soddisfi i suoi bisogni sessuali; il loro è un rapporto quasi bestiale tanto che al posto di dialoghi i due si scambiano solo sguardi e borbottii, mai parole. La riuscita di questo espediente è da attribuire alla bravura di Timothy Spall, che emette suoni, quasi grugniti ai limiti dell’umano, inscenando perfettamente la figura del burbero; da ricordare che a Cannes l’attore ha vinto il premio come miglior performance maschile. Completano il quadro la donna da cui Turner ha avuto due figlie, rinnegate tutte e tre fino alla morte e la signora Booth, ultima compagna di vita, l’unica da cui il protagonista troverà una certa pace.
Oltre la sfera privata c’è quella pubblica e, per raccontarla, Leigh crea dei riusciti confronti visivi e verbali con personalità dell’epoca, come John Constable (paesaggista con cui Turner ebbe una sfida aperta) e John Ruskin (giovane critico e appassionato d’arte), che rappresentano anche momenti del film in cui il regista si concede un umorismo sottile che spezza il ritmo un po’ rigido della narrazione. Geniale è l’incontro con Ruskin: una partita serrata in cui la laconicità di Turner ha la meglio sulla loquacità affettata del giovane critico, che all’epoca era agli esordi di una carriera che poi lo ha visto trionfare.
Leigh racconta il contesto artistico senza alcun intenzione di creare un compendio sulla storia dell’arte a cavallo tra ‘700 e ‘80,0 ma al contrario in funzione della descrizione a tutto tondo del personaggio. “Il film cerca appunto di mostrare il lato pubblico e il lato privato dell’artista, senza stacchi netti, ma miscelando con grazia i due lati della stessa medaglia” dichiara lo stesso regista, che non insiste su una parte a discapito dell’altra. Rimane però un equilibrio difficile e certe scene legate al contesto pubblico sono le meno riuscite, perchè accennano elementi che poi non possono essere approfonditi. Così ad esempio la diatriba sul superamento della pittura figurativa a vantaggio della pittura astratta: un aspetto tanto evidenziato nel trailer, quanto in realtà poco scavato nel film. Non era indispensabile nella riuscita dell’opera di Leigh, ma è interessante vedere che un elemento tangenziale sia stato usato per pubblicizzarlo.
Pittore burbero, rognoso ed eccentrico, James Mallord William Turner è stato un artista fondamentale nella storia dell’arte dell’800 e questo film monumentale (dura ca. 150 min) offre la possibilità di scoprirlo e di riflettere sulla sua dimensione umana. In un anno che si apre all’insegna del biopic (The imitation game, Big Eyes, La teoria del tutto per citare quelli in sala), eccone un altro, più intimo e più concentrato a svelare le mille sfaccettature dell’uomo che è stato Turner.
Elena Cappelletti