Fin dalle prime pagine del primo romanzo di Houellebecq la solitaria tristezza metropolitana domina la scena. “Plus tard dans la soirée ma solitude devint douloureusement tangible” scriveva in L’extension du domaine de la lutte nel 1994. La solitudine diviene un dolore che si può quasi toccare, come una ferita purulenta. Il senso di una corporeità contratta o marcescente emerge dall’opera di questo autore di cui oggi si parla tanto per l’involontario tempismo: La soumission è infatti uscito il giorno stesso in cui i giornali portavano la notizia di un crimine efferato e demente compiuto nel centro di Parigi da tre militanti islamisti, in cui fra l’altro è morto un suo amico ed estimatore, l’economista Bernard Maris. Anche se la solitudine è il suo tema principale, Houellebecq non è affatto uno scrittore intimista: il dolore tangibile di cui parla in tutti i suoi romanzi non è solo il suo personale dolore, ma la chiave attraverso cui raccontare un’epoca. (…) L’odio per la cultura del ’68 e l’odio per le donne sono due costanti esplicite dell’opera di Michel Houellebecq. Nonostante questo lo amo, e penso che si tratti di uno dei più grandi autori del nostro tempo. Perché ci permette di avere accesso allo scenario psichico forse decisivo dell’epoca in cui viviamo.
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Franco Berardi
D’ARS year 55/n. 220/spring 2015 (incipit dell’articolo)
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