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Tra una vita e l’altra

È IPOTIZZABILE UNA “TERZA VITA”, OLTRE A QUELLA DEFINITA “seconda”, che trascenda i mondi virtuali? Più processi in corso che, nella loro complessità, implicano modifiche graduali del vivente – e di quanto a esso si ispira – non rendono l’ipotesi del tutto irrealistica. Passerà per l’infinitamente piccolo questa evoluzione verso una ulteriore vita, verosimilmente più sofisticata delle precedenti?

L’anelito arcaico verso vite altre è, specie da metà secolo scorso in poi, soggetto a un impatto tecnologico e culturale che ne ha turbato i cicli di lungo periodo. Intorno a cinquant’anni or sono, un allora futuro Nobel della Fisica, Richard Feynman, propose di guardare in basso, c’è tanto spazio laggiù, pensando a macchine costruite usando gli atomi come elementi costitutivi.

In “Le vite seconde” Pier Luigi Capucci, anticipando non senza disincanto evoluzioni possibili, allude a una “terza vita” oltre i mondi virtuali. In Second Life, così come in mondi derivati dai videogiochi, “…il concetto di ‘seconda vita’ prende corpo (…). Interagiamo con gli altri e con gli oggetti, sperimentiamo nuove socialità”. Quindi, estendiamo la “prima vita” con una una certa “fisicità”. Una fisicità, si può dire, di relazione in ambiente virtuale. Tuttavia, se non li facciamo muovere noi gli avatar “si congelano”. Quei mondi persistono, ovvero continuano a evolversi, ma gli avatar non sono indipendenti da noi. Una terza vita potrebbe essere quella in cui, di volta in volta, gli avatar ci accolgono “…mostrandoci quanto hanno fatto in nostra assenza”. È un’evoluzione compatibile con quanto tecnologicamente sta succedendo, o almeno che non si considera remoto? Poco probabile, credo, che una seconda vita drammaturgicamente più autonoma per gli avatar sia imminente, neanche in una non lontana terza fase del virtuale, quella dei mondi virtuali maturi come suggerisce il recente rapporto di Strategy Analytics. Sarà utile, per uno scongelamento degli avatar, la rivoluzione dell’elettronica che promettono i Memristors? In futuro, i Memory Resistors (da cui Memristors) permetteranno ai computer di non più perdere  la memoria ogni volta che se ne interrompe l’alimentazione. Una spinta verso sistemi di intelligenza artificiale funzionanti come un cervello umano?

Crittersim 1.3, programma di vita artificiale, 2008
Crittersim 1.3, programma di vita artificiale, 2008

Louis Bec, un po’ radicalmente, ritiene non a torto che gli umani siano estremofili. E siamo anche predatori, pensanti, creativi; siamo “immersi in un labirinto di aggressioni pregiudiziali”. Ritengo che questa estremofilia la trasmettiamo da una vita all’altra. Quanto trasmettiamo agli avatar della “memoria delle origini della vita”, delle capacità di adattamento a un ambiente ostile, della nostra fragilità rispetto alle “turbolenze ecosistemiche”? Questione aperta: se gli avatar potessero, grazie a un salto tecnologico epocale, “continuare a vivere per conto proprio, in modo autonomo” – come scrive Capucci –, quanto entrerebbero in gioco, nel loro gioco, questa memoria originaria della specie umana, le capacità di adattamento, di trasmissione, di aggressioni pregiudiziali?

La spinta verso sistemi di intelligenza artificiale cui accennavo poc’anzi, si confronta e incrocia i Bioibridi secondo Bec: “(trattasi) del risultato dell’ibridazione creata combinando codici genetici e codici digitali, neuronali e microelettronici” . In “From life to life. The multiplicity of the living” Capucci si allarga in una visione più ampia di terza vita, frutto di un approccio sensibile e meno usuale al vivente, a ciò che lo simula, a quanto lo ibrida, a quanto ritiene di crearlo; è un saggio molto recente che non si ferma ai mondi virtuali. La materia è sfumata e complessa, ma egli pone una domanda precisa: stiamo andando verso una “terza vita”? A cui aggiungo: non è automatico che si passi per la seconda, o che ci si passi allo stesso modo!

Alcuni concetti chiave sono il rimescolamento in atto fra organico e inorganico; il vivente preso a modello di artefatti, sempre più autonomi, sempre più esperti e capaci di adattarsi ad ambienti diversi; organismi “aumentati” che ibridano organico e inorganico; forme nuove di intelligenza e consapevolezza. Una perplessità mi sorge in proposito: quanto potrà essere critica questa consapevolezza?

Un prossimo passo evolutivo, seppur da considerarsi con prudenza e con la serenità dei tempi lunghi, implica il transito, già in atto, dall’organico a un sistema composito in cui rientrano forme viventi organiche, inorganiche e loro mescolanze.

Stelarc, Prosthetic Head, computer animation del volto di Stelarc, 2003
Stelarc, Prosthetic Head, computer animation del volto di Stelarc, 2003

La ridefinizione del vivente è uno dei temi portanti del nostro tempo e le interfacce fra umani e macchine, uscite dal loro storico rapporto frontale, motivano una riflessione che va dall’ibridazione alle interfacce fra cervello e macchine, fino alle tecniche di interfaccia cervellomacchina- cervello. “La tecnologia – sostiene Miguel Nicoleis – permetterà al cervello di agire indipendentemente dal corpo”. Le implicazioni, da quelle in campo medico a quelle di ordine etico, filosofico e così via, sono immense. Il dibattito infuria, sarà forse l’argomento di un altro scritto. Si sfoca la distinzione fra umani e macchine, un processo fino a che punto necessario nella progettazione di una potenziale “terza vita”?

Non è esaurita la linea di fondo che riguarda l’autonomia delle macchine, questione storica sul come renderle più autonome. Circa venti anni or sono, mettendo in relazione virtuale, simulazione e autonomia dei robot, Jean-Louis Weissberg affermò con pertinenza che “rendere una macchina più autonoma impone, in una certa maniera, di sbriciolarne l’automatismo”. Era l’esempio della visione artificiale che guidava il gesto, la capacità “di modificare il suo funzionamento secondo le variazioni dell’ambiente”. Per Weissberg, e ne condivido ancora in discreta parte l’affermazione, “la percezione delle macchine mobilita delle tecniche a-umane”, affermazione che l’esplosione della Vita Artificiale non ha reso del tutto obsoleta.

La Vita Artificiale ha spostato il discorso su “creature” ( Bec) che, per via informatica, incorporano comportamenti del vivente e risultano quasi autonome. Egli cita la-vita-come-potrebbe-essere secondo Langton ma, in una sua affascinante definizione di “popolamento chimerizzato”, Bec apre, credo, a un orizzonte di certo pervaso da una Vita Artificiale invasiva ma, comunque, non privo di gradi di libertà.

Esiste un passaggio da una intelligenza simbolica di origine organica – scrive Capucci –, a un’altra intelligenza simbolica sempre più generata da artefatti. Macchine, artefatti, bioentità espandono gli umani cambiandone drammaticamente il rapporto con l’ambiente. Ne è risultato un ambiente antropico dove forme non viventi si evolvono come entità viventi, fondandosi su fonti in parte organiche e in parti inorganiche, o del tutto inorganiche. A una selezione naturale, ne succede dunque una culturale.

Una delle prime immagini di un memristor, dai laboratori di Hewlett Packard
Una delle prime immagini di un memristor, dai laboratori di Hewlett Packard

Con la-vita-come-potrebbe-essere di Langton, Mark Bedau confronta i meccanismi de la-vita-come-la-conosciamo. Questi meccanismi sono alla base di quel “reame simbolico” che indica Capucci, aggiungerei anche dei processi creativi, e anche il fondamento di una tendenza di fondo tesa alla ri-materializzazione, alla presenza, a una sostituzione della metafora con la metonimia. È l’azione diretta sull’organico, sul carbonio, su una iperbolica “creazione di vivente”, o almeno di una sua manipolazione sostanziale.

Siamo oltre gli intrecci tra scienze della vita, scienze cognitive, sistemi di rappresentazione, e anche a una impietosa  analisi di Stelarc, peraltro molto acuta. Stelarc parte dall’idea di un regno postulano (Capucci da un regno simbolico di orgine umana e organica). Il regno che interessa a Stelarc “...può non risiedere in quello dei corpi e delle macchine, ma piuttosto in quello delle entità operative artificiali su internet. Gli avatar, effimeri e dotati della velocità dell’elettronica, non subiscono lentezza, pesantezza e longevità limitata tipiche dei corpi e delle macchine”. “Gli avatar non hanno organi”, conclude Stelarc che, in questo scritto e nelle sua pratica artistica, agisce sottile sulle nostre paure. “Temiamo ciò che siamo sempre stati e ciò che siamo già diventati”. Da qui, il corpo privo di mente propria, lo zombie, e un corpo in parte umano e in parte macchina, il cyborg. Come tenere fuori dalla prospettiva di una terza vita l’agire involontario del primo e gli automatismi del secondo?

Quanto influiranno, in un potenziale ciclo da una vita all’altra – verso una terza vita? – quelle pratiche che privilegiano la nozione di presenza rispetto a quella di significato, posizioni peraltro articolate di filosofi quali Hans Ulrich Gumbrecht e Eelco Runia, di studiosi di arti biotecnologiche come Jens Hauser, di artisti quali Eduardo Kac, Oron Catts e i suoi colleghi di SymbioticA? Il confronto, probabilmente osmotico, continuerà fra i programmi (ruolo immenso della Vita Artificiale), e l’azione sul vivente. Quest’ultimo, per dirla con Nicole Karafyllis, sarà sempre più biofattuale, un ibrido in mutazione continua tra vita, bios, e artefatto. Ma esiste, come sappiamo, una specie in apparizione: quella del Robo Sapiens. In crisi la vecchia etica, la scomoda messa a fuoco che ne fa un filosofo come Peter Singer non è da poco, prevedibile che aumenti la crisi della dimensione simbolica.

Franco Torriani

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