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Tecnologie in scena. Una introduzione allo sguardo teatrale

Capita sempre più spesso di partecipare a spettacoli teatrali che utilizzano schermi, proiezioni, video anche generati “in diretta” e che rientrano nella così detta “scena elettronica”. Si tratta di casi che tendiamo a considerare molto moderni ma che per essere compresi richiedono una piccola introduzione relativa all’evoluzione della società e della comunicazione. Parlare del teatro significa, oggi come ieri e presumibilmente domani, tenere conto di una formidabile forma della comunicazione artistica caratterizzata per sua natura dal rapporto con i media e con le tecnologie della comunicazione.

Robert Wilson, Giorni felici foto di Luciano Romano
Robert Wilson, Giorni felici
foto di Luciano Romano

A dispetto della sua derivazione dai riti antichi e dalla cultura orale delle comunità del passato, il teatro greco si è distinto come pratica di una società letterata in cui l’introduzione della scrittura ha segnato il salto evolutivo verso le configurazioni culturali con cui ancora oggi ci confrontiamo.

La connotazione multimediale del teatro non è una conquista delle forme contemporanee della rappresentazione. Va considerata piuttosto un dato di partenza per comprendere il fascino di una manifestazione dell’espressività umana e collettiva che, senza perdere la sua qualità di comunicazione dal vivo bastata sul “qui ed ora”, si è definita prima di tutto come luogo dello sguardo. Da cui la stessa etimologia della parola teatro – théatron – deriva. Che cosa viene guardato a teatro? La messa in scena di un testo scritto – il dramma – che diventa spettacolo per gli spettatori che guardano “da fuori” e non più “da dentro” come succedeva nel rito. Il carattere visivo del teatro deve perciò essere inquadrato nella cornice interpretativa che lo tratta come un dispositivo del guardare ma che allo stesso tempo mantiene la forza dell’oralità, del suo essere dal vivo, appuntamento unico e mai veramente replicabile fra attori e spettatori. Ecco perché gli espedienti spettacolari possono già essere considerati delle vere e proprie tecnologie che hanno ben presto fatto irruzione sulla scena: dalla costruzione dello spazio, agli effetti drammatici e sonori delle maschereamplificatrici delle espressioni di volti visti da lontano e di suoni legati ai caratteri dei personaggi, fino alla gamma amplissima di strategie espressive che la storia teatrale ha messo in campo.

Ed è in questa tradizione di lunga durata che va compresa la forza propulsiva del teatro occidentale del Novecento, a partire dalle avanguardie storiche e dall’espressione culturale e artistica in senso lato che quei movimenti hanno promosso. Gli scenari della modernizzazione – la metropoli, l’industria e naturalmente l’avvento delle comunicazioni di massa – sono, con le avanguardie, il contesto in cui si afferma un nuovo ruolo del teatro, contaminato con le altre arti e caratterizzato dall’incontro/scontro con l’evoluzione tecnologica e con i media. Da quel momento in poi il confronto con le tecnologie è stato più o meno consapevolmente il leit motiv della ricerca in campo teatrale: sia in coloro che hanno cercato di tornare alla specificità della performance dal vivo cercando di “ripulire” gli orpelli artificiali dello spettacolo, come il Living Theatre ad esempio, sia in coloro che invece hanno trovato nei nuovi linguaggi tecnologici un’inesauribile fonte e una sfida. Su questo secondo fronte la “vocazione mediatica” e visionaria è già nel teatro futurista che fa proprio il modello cinematografico del mutamento dinamico dei punti di vista, che usa i linguaggi pubblicitari, immagini, testi e luci in movimento. A chi non sarebbe piaciuto assistere nel 1925 al Teatro Magnetico di Enrico Prampolini in cui la scena è protagonista dello spettacolo e dove gli attori sono elementi che prendono forma e colore in accordo con il movimento scenico? Solo un esempio per dimostrare come uno degli aspetti più importanti della performancedal vivo del secolo scorso vada messo in relazione con la formazione di un immaginario collettivo basato sul carattere iconico dei media di massa con cui il teatro si è confrontato. La qualità visuale del teatro si è via via specificata dagli anni ’60, mediante la presenza negli spettacoli di immagini, fisse o in movimento, con la proiezione di colori su corpi e oggetti. L’inclusione dei materiali visivi si accompagna, da allora, al ripensamento della scrittura di scena per la quale il testo verbale, il dramma, è solo una delle componenti. In questo senso l’assimilazione dei linguaggi mediali si consolida nella forma del così detto “teatro immagine” la cui ricaduta sociale rimanda al predominio del “vedere” della cultura occidentale e allo sviluppo della scena elettronica che ha raggiunto il suo apice intorno agli anni ’80. Basti ricordare Robert Wilson cui dobbiamo, almeno in una fase precedente a quella attuale del suo lavoro con la prestigiosa Berliner Ensemble,  la creazione di pièce in cui al dialogo quasi inesistente e ai movimenti stilizzati degli attori viene integrata una scenografia raffinata, adatta al gusto estetico del pubblico contemporaneo, fatta di uno straordinario utilizzo della luce e dei colori.

La Fura dels Baus, Metamorfosi di Kafka
La Fura dels Baus, Metamorfosi di Kafka

Tuttavia il percorso della ricerca teatrale non poteva fermarsi alla fascinazione dell’immagine. È infatti a partire dal connotato visivo della scena elettronica che si è progressivamente giocato un diverso modo di intendere l’apporto tecnologico al teatro: come ritorno al sensibile e all’oralità, dove la parola riacquista un senso e il corpo rientra come vero movente della sperimentazione. La scena digitale e l’apertura verso gli scenari dischiusi dalla Rete – pensiamo in Italia a Giacomo Verde oppure, nella scena internazionale, alla Builders Association – segnano ora il passo verso un’ulteriore fase dell’estetica teatrale e del rapporto con il pubblico. Quest’ultimo si ritrova oggi non solo ad attivare una specie di “zapping percettivo” fra corpi in scena e sullo schermo, suoni dal vivo e campionati magari ma anche ad agire direttamente sullo spettacolo che ribadisce così la sua irriducibile qualità relazionale, un appuntamento, anche a distanza, fra attori e spettatori.

Laura Gemini

D’ARS year 50/nr 204/winter 2010

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