Credevate di averle viste tutte? Questo è Tatsuo Miyajima, viene da Tokyo e la sua specialità sono installazioni fatte di “contatori digitali a LED” (ma lui li chiama più semplicemente “gadget”). Dalla metà degli anni Ottanta ne ha assemblati a migliaia in complessi circuiti integrati a forma di griglie, torri, linee, cerchi, spirali, pareti e pavimenti. Il funzionamento è sempre lo stesso: seguendo velocità diverse, i gadget contano da 0 a 9 – o alla rovescia, da 9 a 0. Lo 0, però, non compare mai sul display: al suo posto c’è sempre un momento di buio. Poi, la conta ricomincia, in un loop senza fine. Fuori metafora: ogni contatore rappresenta la vita di un individuo. Per qualcuno va in salita, scorrendo lenta; per altri va in discesa, interrompendosi troppo presto. Ma quando se ne spegne una – ecco lo 0, la morte, il vuoto (Ku, in giapponese) – un’altra subito si accende.
Ecco allora che quei congegni, fino a un attimo fa nulla più che delle lucine colorate, prendono tutto un altro aspetto. Ora, più aumenta il numero di contatori, più l’allegoria si fa drammatica. Fino ad arrivare a Mega Death (1999), dedicata ai milioni di vittime delle guerre del XX Secolo, che inscena un’estinzione di massa sotto forma di una stanza a specchi rivestita di migliaia di gadget, che progressivamente si spengono finché non si fa buio totale. Ma poco dopo, come sempre, le luci tornano ad accendersi e il ciclo ricomincia ripetendosi all’infinito.
Per la sua prima personale italiana alla Lisson Gallery di Milano (fino al 9 gennaio 2015), Miyajima si è spinto ancora più in là. Il cuore della mostra, intitolata Ku, sono cinque schermi della serie Life (Ku) – su cui i soliti gadget stavolta si spengono tutti assieme improvvisamente e si riattivano solo quando un visitatore si avvicina al dispositivo – e quattro pezzi della serie C.F.Loop, coi LED attaccati lungo un cavo aggrovigliato in una sorta di sistema venoso elettronico. Ma il pezzo forte, sistemato all’aperto nel giardino della galleria, è il suo ultimo lavoro The Moon in the Ground: una tavola rotonda dalla superficie a specchio sulla quale i contatori sono sistemati secondo la disposizione dei corpi celesti in cielo. Le vite degli esseri umani sono ora paragonate, in una visione totale, a quelle della Terra e della Luna (senza la quale la vita sul nostro pianeta non sarebbe possibile), a quelle delle stelle (che, come noi, ogni tanto si spengono; ma continuamente ne nascono di nuove), a quelle delle galassie e del cosmo intero.
Meno riuscito ci sembra invece il Deathclock for Real Life, l’orologio-app della morte per iPhone e iPad progettato da Miyajima per l’uso privato. L’avrete già capito: consiste in un conto alla rovescia all’ora del nostro trapasso, con tanto di foto in background che sbiadisce progressivamente. A differenza dei tanti altri Deathclock scaricabili su iTunes – ebbene sì: ce n’è una decina, a pagamento e gratuiti – che fissano automaticamente la data in base all’inserimento di dati personali, l’orologio di Miyajima prevede che siamo noi a decidere quando passare a miglior vita. Quando il timer giunge alla fine, l’app si cancella automaticamente dal dispositivo. “Conoscendo l’ora della propria morte, la vita apparirà più luminosa e verrà vissuta con maggiore profondità”, afferma la descrizione dell’app. All’imbattibile prezzo di 14,99 € (con tanto di 1 cent di sconto come nelle televendite). Se avessimo bisogno di un altro incoraggiamento, una volta “morti” l’app si può scaricare nuovamente e ricominciare il gioco. Pagando altri 14,99 €. Filosofia o e-commerce?
Se volete approfondire il discorso sull’ossessione per i numeri e sul tempo nell’arte contemporanea, vi consigliamo di dare un occhio, se già non lo conoscete, al lavoro di On Kawara, Roman Opałka e Hanne Darboven.
Stefano Ferrari
Tatsuo Miyajima: Ku
Fino al 9 gennaio 2015
Lisson Gallery Milan – via Zenale 3, Milano