Tancredi torna al Guggenheim di Venezia con una retrospettiva in grado di regalarci il ritratto intimo di un artista alla costante ricerca di sperimentazione
“Tancredi Parmeggiani è il miglior pittore italiano mai esistito dai futuristi in poi” afferma Peggy Guggenheim. Impossibile darle torto dopo aver visitato la mostra ospitata al Guggenheim di Venezia che sancisce il ritorno in città dell’artista (Feltre 1928- Roma 1964).
Artista precoce e irrequieto in grado di re-inventarsi continuamente, Tancredi comincia ad affermarsi nella scena artistica della seconda metà del ‘900 grazie al sostegno spassionato e deciso di Peggy Guggenheim; sotto la sua ala protettrice ottiene apprezzamenti e consensi da parte di grandi musei e collezionisti d’oltreoceano. Il peso della diversità lo porterà, purtroppo, a una morte voluta, prematura e inevitabile. Nonostante ciò i suoi dipinti continuano a essere, per molti, motivo di fascino e d’ispirazione.
La mostra a Palazzo Venier dei Leoni rappresenta il ritorno “dovuto” dopo circa sessant’anni di silenzio. Venezia significa per Tancredi un elemento di immensa creatività che si rivela fondamentale per lo sviluppo della sua pittura. Attraverso le novanta opere disposte in dieci sale la parabola artistica è raccontata con poesia e immediatezza. I dipinti, esposti in modo limpido e “sottile” evidenziano la tecnica imprescindibile da cui deriva l’espressione prorompente dell’artista. Grande interprete delle emozioni umane, Tancredi Parmeggiani è in grado di trasportarci in tanti piccoli universi colorati e affollati da segni spesso difficili da decifrare.
Partendo da rare prove giovanili di ritratti e autoritratti, il percorso espositivo, studiato con cura da Luca Massimo Barbero, documenta la ricerca e la sperimentazione svolta dall’artista nel corso degli anni. La creazione di dipinti “frenetici” nati da una personale rivisitazione del dripping, la produzione di opere come Primavera del 1951 in cui il punto – simbolo essenziale nei suoi lavori – diventa l’elemento di rappresentazione spaziale prediletto. Le successive ricerche su Neoplasticismo e Spazialismo lo portano al compimento delle famose opere amate da Peggy Guggenheim in cui i punti si mescolano a lettere e segni circolari. Saranno proprio questi lavori che lo condurranno al MoMA di New York.
Le composizioni di Tancredi, col passare degli anni, si fanno sempre più “ordinate”. L’artista utilizza per le nuove opere tasselli di colore sovrapposti. L’influenza di Mondrian e dell’astrattismo a questo punto si fa sempre più evidente: al quadrato sostituisce il punto come base per la composizione universale. Gli anni ’50 stanno per concludersi e la sua pittura comincia a farsi tormentata: la campitura a tassello diventa più mossa e Tancredi introduce il rullo per stendere il colore. Sono questi gli anni della separazione da Peggy Guggenheim e dell’ allontanamento da Venezia. L’artista si trasferisce a Milano dove inizierà un nuovo periodo artistico caratterizzato da dipinti di grandi dimensioni e macchie di colore. Negli anni ’60 Tancredi abbandona definitivamente l’astrazione e si avvicina all’esistenzialismo e alla politica. Fondamentali a tal proposito sono i tre dipinti della serie Hiroshima del 1962 (presenti in mostra). Con Diari paesani e i Fiori dipinti da me e da altri al 101%, (che possono essere definiti la vera rivelazione) si conclude il percorso espositivo.
Anche se breve, la carriera artistica di Tancredi è stata caratterizzata da un continuo flusso di spirali che lo hanno portato a dipingere le emozioni in maniera sempre diversa. Il sottile filo conduttore di tutte le sue opere rimane senza dubbio l’inquietante felicità cromatica che ci ha trasmesso e alla quale abbiamo il dovere di credere.
Flavia Annechini
La mia arma contro l’atomica è un filo d’erba. Tancredi. Una retrospettiva
a cura Luca Massimo Barbero – Venezia, Collezione Peggy Guggenheim
12/11/2016 – 13/03/2017