Ci sono momenti nella vita in cui tutto appare nella pura consapevolezza. Niente concetti, niente pensieri. Solo pura consapevolezza. Apertura. Forse è accaduto, quando eri seduto su un prato, oppure sulla spiaggia, quando ascoltavi il fluire dell’acqua del fiume, quando sentivi Il calore del sole, il battito d’ali di un gabbiano che si alza in cielo. Uno di questi momenti di consapevolezza, al di là dei pensieri, in cui tutto pare fermarsi, l’ho avuto per pochi istanti, quando sono entrata nella sala del P.S.1 a New York che ospita la mostra di Olafur Eliasson*. Un gigantesco specchio rotante posto sul soffitto. Le persone distese sul pavimento osservano la propria immagine riflessa. Anch’io mi allungo a pancia in su e approfitto del prezioso momento di riposo, dopo lunghe scarpinate su è giù per musei ed avenues, per recuperare ritmi un po’ più umani. Yes! Take your time! Sembra proprio difficile prendersi il proprio tempo, quando il tempo è per la maggior parte delle persone gestito da altri, scandito da fattori esterni che regolano la nostra vita, e anche il cosiddetto “tempo libero” appare sempre più alienato. Approfitto per scattare un po’ di foto e mi rendo conto che quando la sala si riempie l’”opera” si forma perchè la gente è parte integrante dell’installazione e la rende dinamica. Il vuoto si riempie e poi di nuovo il vuoto. La luce si unisce allo spazio, sono una cosa sola, inscindibili.
Tali riflessioni non mi sono estranee, ma giungono ad hoc proprio grazie alla presenza qui a New York delle due mostre dell’artista danese Olafur Eliasson. I suoi interventi sono davvero un momento di pausa e d’ampio respiro.
Quale sollievo! Siamo quasi alla fine del decennio e una boccata d’aria di immaterialismo magico, questa fusione tra cultura e natura non può far altro che bene al corpo e allo spirito. Eliasson era presente alla Tate Gallery nel 2003 con The Weather Project. Migliaia di persone erano andate a Londra in una sorta di pellegrinaggio, una vera Woodstock dell’arte. Qui a New York manca un po’ quest’aspetto di magia collettiva, perché gli interventi sono dislocati e diversi, ma l’artista danese ci regala stupendi momenti in cui ognuno si può sentire parte del tutto; non si osserva dal di fuori, ma si è dentro la cosa, si è soggetto ed oggetto allo stesso tempo. Si assorbe un processo vitale mediante emozione diretta. In questo contesto non sono necessarie provocazioni, stimoli inutili per la nostra mente già troppo ingombra e compressa da un reale a volte fin troppo reale. La dimensione simbolica del distacco e del vuoto è lo spazio ideale affinché le emozioni fluiscano senza ostacoli per lasciar posto alla creatività e al nuovo. Abbiamo bisogno di un’arte “dopaminica” che riattivi circuiti inesplorati, in modo da ripensare globalmente un’estetica della nostra esistenza. L’opera di Eliasson va oltre la manifestazione di un io narcisistico e di una ginnastica visiva fine a se stessa e questo fa pensare al futuro perché i canoni individuali di fruizione dell’arte stanno sparendo per lasciar posto ad una ricerca artistica in cui la vita stessa e gli esseri umani saranno la materia prima su cui avere consapevolezza. Potremo allora davvero esclamare un WOW di meraviglia, non nel senso di stupore superficiale, ma di consapevolezza delle forze vitali e della loro bellezza. E’ un procedimento creativo che la critica contemporanea non ha ancora definito. La forza della creazione che ci abita può fluire all’esterno ed avrà sempre meno come referente il tempo reale. La geometria delle emozioni di Eliasson ci fa intuire questa prospettiva. Siamo appena agli esordi perché per ora Eliasson è solo un pioniere di una cultura visiva che va oltre l’intrattenimento e la gratificazione istantanea.
La luce è l’elemento che unifica i vari livelli di percezione. In una stanza vuota i colori mutano di intensità e di tono. Il calore unito al colore produce diverse vibrazioni energetiche.
Il riflesso e lo specchio sono un altro dei motivi presenti nelle due sedi espositive, PS1 e Moma. L’esperienza che citavo sopra, lo specchio gigante posto sul soffitto nella sala del PS1 mette in moto l’immagine riflessa cosicché lo spettatore non più chiuso nella solipsistica esperienza a tu per tu con un oggetto, una scultura, un dipinto, possa sentirsi nello stesso tempo soggetto e parte di una collettività.
L’opera di Eliasson non è un ambiente New Age, ma piuttosto una nuova apertura verso un sentire diverso che dia importanza all’individuo e alle sue emozioni. Ti chiede di aspettare: take your time, ancora un momento e se hai pazienza, scoprirai cosa succede. Un oggetto volante si muove oscillando: un gruppo di bambini lo inseguono cercando inutilmente di afferrarlo. L’esterno del museo diventa un quadro nel quadro: puoi vedere dal Moma, la strada e gli edifici come una realtà capovolta, grazie ad una struttura prismatica posta contro le finestre e puoi vedere anche la tua immagine riflessa in un pozzo di specchi. Così anche al PS1 le strutture caleidoscopiche modificano la visione. Take your time, e “your” va inteso come il tuo tempo o come il vostro tempo, il tempo della comunità, perché l’arte dovrebbe restituire libertà all’individuo al di là dei recinti istituzionali e delle costrizioni mediatiche. A proposito vorrei ricordare come l’artista danese abbia manifestato la volontà di ridare al gesto artistico un autentico valore di rottura, sganciandolo dall’imbrigliamento istituzionale, come ad esempio il progetto “The green river” realizzato in diverse città, tra cui Stoccolma nel 2000, in cui nel fiume fu gettata una polvere che colorò l’acqua di verde. Fu un intervento furtivo, senza preavviso, deciso di proposito in quanto l’intenzione era di registrare la reazione della gente e dei media che per l’artista è sempre stata medium privilegiato di espressione.
Alla fine rimane il desiderio di non subire sensazioni passive, di scoprire nuove realtà di ricerca artistica più radicali che poi non corrano il rischio di finire inglobate nel sistema.
Stefania Carrozzini
*Il Moma e il P.S. 1 ospitano, dal 20 aprile al 30 giugno 2008, la prima retrospettiva di Olafur Eliasson negli Stati Uniti. Il lavoro sperimentale dell’artista danese, nato nel 1967 a Copenaghen e residente a Berlino, comprende 38 lavori, (di cui 14 sono stati presentati al Museum of Modern Art a San Francisco), tra cui installazioni e modificazioni ambientali realizzate mediante l’uso di diversi elementi come luce, acqua, ghiaccio, nebbia, pietra, muffe, specchi.