Le opere di Takashi Murakami saranno ospitate a Palazzo Reale di Milano fino al 7 settembre: si tratta di lavori recenti di pittura e scultura racchiusi nella mostra Il ciclo di Arhat. L’artista giapponese ci vuole raccontare, come suggerisce il curatore Francesco Bonami, la nuova dimensione psicologica e sociale del suo paese in seguito alla tragedia del terremoto e dello tsunami del 2011, che hanno portato al disastro nucleare di Fukushima.
Murakami non ha nessun problema ad ammettere che la serie di opere realizzate appositamente per la mostra milanese – la prima in uno spazio pubblico italiano – sono state realizzate in uno stato di ansia determinato dalla situazione contingente. L’artista ha constatato che il Giappone, in seguito alla tragedia di Fukushima, è uscito da quella condizione adolescenziale in cui la società si trovava intrappolata dal dopoguerra in poi, quando un altro grosso trauma – quello di Hiroshima – aveva stravolto la rigida tradizione della cultura giapponese. La concezione della vita di Murakami, a metà strada tra la meraviglia e la tragedia, è in grado di integrarsi perfettamente nello spazio espositivo, quella Sala delle Cariatidi che, un tempo testimone delle sfarzosità delle corti europee, fu bombardata durante la seconda guerra mondiale e ricostruita nel 1947.
Qui, anticipata da Oval Buddha Silver, scultura argentea su cui la luce determina riflessi inquietanti, è esposta una ricerca dedicata all’autoritratto – dove l’artista si rappresenta su una sorta di nebulosa, rischiando di essere inghiottito da un buco nero – alternata a un’altra serie di opere che rappresentano cascate di teschi, tra colori e forme contrastanti con il soggetto macabro.
Al centro della mostra, le tre grandi opere dedicate agli Arath, termine che in sanscrito significa “essere che ha raggiunto l’illuminazione”: secondo la convinzione dell’artista, sono proprio gli Arath che ci aiutano a convivere con le forze non solo della natura (Fukushima), ma anche dell’uomo (Hiroshima) che minacciano la vita. Qui i dipinti, compresi tra i 5 e i 10 metri di lunghezza, sono affollati da mostri demoniaci e da monaci buddisti vicini al declino e alla morte, sullo sfondo di paesaggi psichedelici.
In occasione della mostra è stata presentata l’anteprima italiana di Jellyfish Eyes, il primo lungometraggio live-action di Takashi Murakami, che unisce computer grafica e animazione: in uno scenario post Fukushima, il film racconta l’adolescenza di un ragazzo giapponese che confronta il proprio passato con un futuro pieno di speranza.
Valentina Tovaglia
Takashi Murakami,Il Ciclo di Arhat
Palazzo Reale, Milano. Fino al 7 settembre 2014