La Street Art scavalca il muro – suo supporto espressivo per eccellenza – per entrare in un museo: a Parigi, dal 28 novembre 2012 al 30 marzo 2013, L’Adresse Musée de la Poste, interessante voce fuori dal tradizionale circuito dei musei della città, riunisce, con la mostra Au delà du Street Art, opere che, focalizzando l’attenzione sulla situazione francese, dimostrano l’eterogeneità delle ricerche, degli approcci e delle tecniche che vanno a comporre il variegato universo di questa forma artistica nata ormai mezzo secolo fa, raccontandocene gli esordi.
Erano gli anni ’70 quando, sui muri del cantiere di Les Halles a Parigi, Gérard Zlotykamien, che prediligeva i luoghi che erano stati teatro di guerra, rappresentava les éphémères, figure dai contorni neri a metà strada tra pittura rupestre e disegno infantile, dedicate alle vittime di Hiroshima. Altro pioniere della Street Art francese è Ernest Pignon-Ernest, che sempre in quel decennio preferì un materiale fragile quale la carta come supporto per i suoi personaggi a grandezza naturale, che, deteriorandosi a contatto con il muro, dava ancora maggiore forza a temi come l’apartheid o l’immigrazione. Nel 1981 Blek le Rat, dopo aver visto i graffiti per le strade di New York, scelse la tecnica dello stencil, con la quale realizzò nel 1991 un’invasione grafica dei muri di Parigi ritraendo centinaia di topi, per poi passare alla rappresentazione di figure a grandezza naturale, dai senzatetto alle celebrità. Nel 1983 erano già uscite allo scoperto, tra le strade della Ville Lumière, le ottimistiche figure bianche di Jérôme Mesnager, trasferite su qualsiasi supporto, dai muri alle finestre, dalle cabine telefoniche ai sacchi postali. Ha lasciato numerose tracce in città anche Jeff Aérosol, autore di stencil che ritraevano personaggi sia famosi che anonimi, in cui appare sempre una freccia rossa a richiamare la segnaletica stradale e di cui Chuuuttt in Place Stravinsky è uno dei più grandi mai realizzati, composto da due stencil di 350 mq ciascuno. Nel 1985 a Parigi si impone finalmente in ambito Street Art una donna, Miss Tic, i cui personaggi in bianco e nero, che sembrano usciti dalle pagine di una rivista, esplorano soprattutto l’universo femminile, accompagnati da aforismi e integrati a ritagli di manifesti.
La validità di queste premesse diventa quindi un ottimo punto di partenza per gli street artist che hanno esordito negli anni successivi e ai quali è dedicato ampio spazio tra le pareti del Musée de la Poste, mostrandoci addirittura gli strumenti di lavoro e interessanti testimonianze video delle loro azioni: C215, Invader, Vhils, Swoon, Shepard Fairey, Banksy, Dran, Ludo, L’Atlas e Rero. C215 (Christian Guémy) si impegna in una ricerca dei materiali: tavole di legno, barattoli di pittura, segnali stradali, cassette della posta diventano il supporto per i suoi ritratti a stencil, che, realizzati sulla base di fotografie, vogliono comunicare il potenziale poetico della strada. Anche Vhils (Alexandre Fato) lavora nell’ambito del ritratto che, creato sottraendo materia attraverso strumenti come bulino, martello pneumatico, acido, candeggina ed esplosivi, rappresenta i volti di eroi senza nome: si comporta come un archeologo che esplora la materia e rivela i diversi strati del supporto, giocando con i contrasti e con gli effetti di luci e ombre. Swoon (Caledonia Curry) incide i suoi ritratti su linoleum e li stampa su una pellicola solida o su carta da lucido incollata su oggetti di recupero; le sue opere si ispirano ai volti dei propri familiari oppure alle persone incrociate per strada o durante i suoi viaggi.
La strategia di Invader, come suggerisce il suo nome tratto dal videogioco giapponese Space Invaders, è invece quella dell’invasione a scala mondiale: i piccoli mosaici, in cui l’immagine dei personaggi del gioco appare pixellata nelle tante piastrelle colorate, diventano l’arma delle sue incursioni nel tessuto della città; l’artista utilizza anche i cubi di Rubik, assemblati a creare oggetti tridimensionali che stravolgono le opere d’arte tradizionali, come La Libertà che guida il popolo di Delacroix nel caso di Rubik Liberté. Shepard Fairey, in arte Obey, nel 2012 è stato invitato dal municipio del 13mo arrondissement di Parigi a riprodurre sul muro di un edificio l’enorme versione a stencil dell’opera Rise above rebel, il cui originale in mostra è in pittura su tela: si tratta della rappresentazione di una donna-archetipo, che resiste all’oppressione riuscendo a superarla. L’identità del misterioso Banksy, che interviene con i suoi stencil in tutto il mondo, rivendicando la libertà, denunciando l’ingiustizia e stravolgendo le situazioni, non è ancora rivelata: in mostra incontriamo alcuni esempi delle sue rappresentazioni umoristiche dei simboli della cultura urbana, i topi, e di alcuni suoi interventi nella società, come Choose Your Weapon (il ragazzo che porta al guinzaglio uno dei barking dogs di Keith Haring), Flying Cooper (il poliziotto con le ali da angelo e il volto da smile) e We love you… so love us (il ribelle che lancia un mazzo di fiori). Di Dran, sostenuto più volte da Banksy, abbiamo già raccontato (vedi D’ARS 209) le opere che leggono criticamente la società contemporanea, con uno sguardo a metà strada tra umorismo e ironia e un tratto che richiama le illustrazioni dei libri per bambini: in Ville Propre rappresenta un senzatetto ricoperto da una stesura di pittura bianca, come fosse un tutt’uno rispetto al muro restrostante; la critica all’arte contemporanea si scatena invece in Croûte, una delle sue creazioni su cartoni di recupero, in questo caso su un cartone della pizza usato. Ludo rappresenta invece creature ibride, che uniscono mondo animale e vegetale, a partire dalla scelta di un colore base, il verde, associato al bianco e al grigio; l’artista si interroga sul ruolo dell’uomo nell’ambiente, dando vita a rappresentazioni di grande formato che vogliono mettere in luce qualcosa di infinitamente piccolo: degli enormi insetti vogliono così segnalarci l’inferiorità dell’uomo.
L’Atlas e Rero si interessano, infine, alla scrittura: il primo imprime sul pannello dei labirinti che si ispirano alla calligrafia geometrica kufi, scegliendo i colori tipici della stampa, il bianco e il nero, e cercando di dare vita a una scrittura universale. Rero interviene soprattutto in luoghi abbandonati, rappresentando con lo stencil parole di grande formato, cancellate al centro da una linea orizzontale, come fossero messaggi di errore: la sua intenzione è quella di valorizzare, scegliendo il font Verdana, ritenuto il più semplice e il più neutro, i luoghi in attesa di essere cancellati dall’uomo.
Valentina Tovaglia
D’ARS year 53/nr 213/spring 2013