Proseguendo il racconto sulle vicende originarie della Street art giungiamo a una fase in cui la maturazione del graffiti-writing, quale linguaggio affine alla cultura di massa e inglobato nel sistema dell’arte internazionale, sembra trovare i giusti presupposti.
Negli anni Ottanta, con la grande popolarità raggiunta da documentari filmati come Style Wars e Wild Style (entrambi del 1983) e di volumi che documentano ampiamente almeno un decennio di lavori di writer sui treni di New York – tra tutti Subway Art, pubblicato nel 1984 dai pionieri della fotografia del writing artistico, Martha Cooper e Henry Chalfant – l’emersione del writing dal mondo oscuro, sfuggente e pericoloso delle notti in yard a quello luminoso e patinato delle televisioni, delle riviste e delle gallerie d’arte, acquista uno slancio decisivo. Il successo di questa vicenda quale nuova realtà impostasi sulla scena socio-culturale americana non tarda a portare i suoi frutti anche nelle città del vecchio continente.
Per quella che molti ritengono essere una tendenza underground è curioso constatare come i canali di penetrazione in Europa siano principalmente di tipo mainstream. I film documentario precedentemente citati, assieme a video musicali e serie televisive che mostrano sullo sfondo scenari urbani popolati da tag e lettere riempite di colori, hanno il ruolo di costruire nuovi circuiti e riferimenti figurativi nella fantasia creativa di orde di ragazzini europei. Gran parte di questo materiale è strettamente legato alla cultura hip hop, protagonista negli anni Ottanta di un grande successo internazionale e quindi fondamentale veicolo di propagazione dei codici del writing, da tempo praticato come una delle sue discipline. Ulteriore via, rilevante per il significato più alto che assegna a questi linguaggi, è la realizzazione di esposizioni sul writing di matrice istituzionale. In particolare, una sezione a Documenta 7 di Kassel e la mostra di Francesca Alinovi, Arte di Frontiera (Bologna, 1984), presentano gli artisti che fanno parte della singolare esperienza della galleria Fashion Moda del Bronx (NY), già dal 1979 promotrice con buona risonanza mediatica di nomi come Crash, Rammellzee, Basquiat, Haring, Sharf e Futura 2000.
Sul fronte artistico, il linguaggio fatto proprio dai primi writer europei si muove sui binari dell’esercizio stilistico ispirato all’eredità formale lasciata loro dai più esperti colleghi americani (vedi la nascita dello stile). La sperimentazione, se si esclude qualche novità apportata negli anni sul piano delle ombreggiature e del fotorealismo da writer svizzeri e tedeschi, sembra arrestarsi a diverse interpretazioni del wild style newyorkese. Fisso nelle sue stesse regole e codici espressivi il writing, così come si sviluppa in Europa e nel resto del mondo tra anni Ottanta e Novanta, sembra cadere nella pura ripetizione di se stesso, ovvero in un manierismo sterile vuotato dell’originaria freschezza e spirito di incessante sperimentazione delle origini.
Intanto il processo di assimilazione di questa esperienza di strada, all’interno di dinamiche di successo ed esposizione mediatica di massa, prosegue e si concretizza nella breve parabola nel mondo dello star system di figure come Keith Haring e Jean Michel Basquiat – che di fatto writer non sono – ma che tra la fine degli anni Settanta (Basquiat) e l’inizio degli anni Ottanta (Haring) iniziano a lavorare in strada, intervenendo nell’ambiente urbano. I due, che oggi risaltano immediatamente nelle menti di molti appena si sente parlare di graffitismo artistico, con lo studio delle lettere e le avventure in yard non hanno nulla a che fare: il primo disegna con gessetti i suoi personaggi fantastici di stampo fumettistico sui supporti della pubblicità nelle stazioni della metropolitana di New York, il secondo scrive in giro per la città aforismi e sentenze dal tono beffardo e spiazzante, che firma come SAMO (same the old shit).
È evidente come il loro lavoro si discosti sensibilmente dal wild style dei ghetti newyorkesi provocando l’irrigidimento di molti writer decisi a prendere le distanze da queste nuove forme di interazione con lo spazio urbano, giudicate senza tecnica, senza stile ed eseguibili da tutti. Possiamo, in tal modo, iniziare a evidenziare una sorta di spaccatura nel mondo del writing o meglio di filiazione di qualcosa d’altro direttamente dipendente dall’esistenza del primo.
Se, infatti, da un lato si forma una sorta di partito integralista, fatto di puristi del lettering e delle modalità tecniche sino ad allora create, dall’altro si delinea un nuovo modo di intendere l’arte in strada, meno elaborato e rischioso, concepito con una maggior attenzione alle possibilità offerte dallo spazio urbano e con una ricerca del contatto visivo e comunicativo con i passanti. Questo nuovo linguaggio di cui Haring e Basquiat sono tra i primi interpreti e quindi precursori, va annesso più che al campo del graffitismo a quello del post-graffitismo.
Con l’espressione “post-graffiti”, oltre a circoscrivere l’appropriazione dell’estetica del writing da parte di artisti che operano in aree creative “convenzionali”, si fa sovente riferimento alla sfera della Street art di cui il graffiti-writing è indiscutibilmente sorgente. Con questa nuova origine prende avvio un affascinante capitolo del racconto di quell’arte anonima e illegale che nasce negli slums a stelle e strisce per poi volgersi a conquistare le strade di tutto il mondo.
Egidio Emiliano Bianco