Si chiama Liu Bolin, ma lo conoscono tutti come “l’uomo camaleonte”. L’artista cinese di giovane generazione (classe ’73) realizza delle performances eccezionali in cui riesce a confondersi con tutto ciò che lo circonda, fino a rendersi quasi invisibile. Mescolando fotografia, happening e body art, Liu Bolin resta in posa per ore di fronte a scenari scelti e, con la complicità di un team di pittori e fotografi, si mimetizza perfettamente nello sfondo. Niente Photoshop, ma un accurato body painting e un meticoloso studio prospettico portano, dopo vari scatti, all’immagine finale che immortala l’illusione della sua presenza evanescente e al contempo impossibile da ignorare. Le fotografie di Liu Bolin camuffato tra i prodotti dei supermercati e tra i giornali delle edicole hanno illustrato le pagine patinate delle riviste d’arte del mondo e circolano vorticosamente sul web. Curioso fenomeno di un artista che ha ottenuto una grande visibilità e notorietà giocando a fare “l’uomo invisibile”.
L’approccio e le origini delle performances mimetiche di Liu Bolin hanno però ben poco di ludico. La molla iniziale è stata la vicenda del Suojia Village International Arts Camp, raso al suolo per volere delle autorità cinesi il 16 novembre 2005, nel contesto della di riqualificazione di Pechino per le Olimpiadi. Una delle prime foto-performances della serie Hiding in the City ritrae Liu Bolin immobile, inespressivo e completamente fuso nei colori dei muri semi demoliti del proprio atelier. La sfida è proseguita con i camouflages davanti ai muri su cui appaiono ideogrammi di propaganda politica, come lo slogan “New Culture Needs More” (Hiding in the City 03, 2005) e in piazza Tienanmen, sotto l’immenso ritratto di Mao Tse-tung. Nel 2009 Liu Bolin ha realizzato una performance di fronte al cosiddetto “Bird’s Nest”, il nuovo stadio nazionale costruito per le Olimpiadi del 2008. Una “sparizione” quasi premonitrice degli eventi che hanno coinvolto recentemente uno dei suoi ideatori, l’artista e architetto Ai Weiwei. Per le sue azioni artistiche fortemente critiche nei confronti del regime, Ai Weiwei è infatti scomparso per quasi tre mesi in un luogo segreto, dove le autorità l’hanno recluso dal 2 aprile al 22 giugno 2011.
Nata come critica nei confronti della corsa cieca all’urbanizzazione e allo sviluppo economico del proprio paese e come protesta silenziosa contro la censura e le violenze alle quali gli artisti in Cina sono sottoposti, il progetto di Liu Bolin sta proseguendo in tutto il mondo, ovunque egli trovi uno scenario in cui confondersi per trasmettere di volta in volta un messaggio diverso, di appartenenza, di denuncia, di empatia o di fuga dalla realtà.
In Italia, abbiamo intravisto Liu Bolin due anni fa, quando si è mimetizzato nei luoghi simbolo della cultura nostrana: nella Veneranda Fabbrica del Duomo e al Teatro Alla Scala di Milano, ma anche in Piazza San Marco e sul Ponte di Rialto a Venezia e all’Arena di Verona (serie Hiding in Italy, 2010). In Francia, Liu Bolin è apparso e scomparso a Parigi, sulla scalinata del Grand Palais, tra i fascicoli carichi di storia negli Archivi Nazionali e si è persino nascosto nelle casseforti della Société Générale (serie Hiding in Paris, 2011). L’estate scorsa era a New York, dove si è esibito, tra l’altro, davanti al Toro di Wall Street, assumendone colori e sembianze (serie Hiding in New York, 2011).
Dalla Repubblica Popolare cinese, l’indagine di Liu Bolin si è spostata in occidente toccando vari temi politico-sociali globali, quali il rapporto tra società civile e potere finanziario, il conflitto tra tradizione e innovazione, fino all’antinomia tra conservazione e distruzione del passato che contrappone Europa e Cina. Il suo mimetismo artistico solleva anche riflessioni filosofiche e antropologiche, quali il rapporto tra uomo, natura e cultura.
Liu Bolin ha così descritto la sua poetica: “Oggi esistono molti differenti modi di pensare. Ogni persona sceglie la propria strada nel venire a contatto col mondo esterno. Io scelgo di fondermi con l’ambiente. Invece di dire che scompaio nello sfondo circostante, sarebbe meglio dire che è l’ambiente che mi ha inghiottito e io non posso scegliere di essere attivo o passivo”.
Potrebbe sembrare una sorta di professione di fede epicurea, ma le immagini della presenza fantasmagorica di Liu Bolin in un paesaggio urbano carico di simboli e messaggi non hanno nulla a che vedere con la serena accettazione del “vivere nascostamente”. Si tratta piuttosto di una strategia dell’inganno diffusa nel mondo naturale, in cui la capacità di mimetizzarsi è spesso il fattore più importante per la sopravvivenza di numerose specie vegetali e animali che ne traggono un vantaggio evolutivo. Nel mondo umano, in cui regnano complessi artifici culturali e sociali, il mimetismo non è un posto sicuro dove nascondersi, ma può diventare un’astuta strategia di visibilità. Anche da questo punto di vista Liu Bolin è geniale: mettendo in scena la propria assenza, difende e rende più visibili che mai le proprie idee, rimanendo allo stesso tempo intoccabile.
Dal 22 marzo al 28 aprile, i più celebri scatti pechinesi della serie Hiding in the City saranno esposti alla Galerie Paris-Beijing di Parigi, in occasione della mostra collettiva Incarnations. La mostra presenta una selezione d’opere d’artisti cinesi contemporanei che esplorano le possibilità della performance legata alla fotografia e alla body art: Ai Weiwei, Zhang Huan, Zhu Ming, Liu Bolin, Li Wei, Cang Xin e Hei Yue. Questi artisti, pur diversi per età ed esperienza, condividono uno stesso approccio all’arte come atto creativo in cui tutto il corpo e la persona dell’artista sono coinvolti per esprimere una critica più o meno esplicita della società e della politica (cinese) attuale.
Silvia Mattei
D’ARS year 52/nr 209/spring 2012