E COSÌ, DOPO TRE NUMERI DI D’ARS DEDICATI ALLA VITA (la “prima vita”, la vita biologica; la “seconda vita”, la vita nel simbolico, nel virtuale; la “terza vita”, la vita degli organismi e delle entità create dalla cultura umana) non potevamo evitare di iniziare a compiere una riflessione sul concetto di “soglia”.
Nella sua accezione più generale, una soglia è un qualche limite significativo, noto o ignoto, di cui si può essere o meno consapevoli, superato il quale avviene una qualche trasformazione, reversibile o irreversibile. La dimensione esistenziale umana, biologica, è compresa tra limiti ben precisi di temperatura, umidità, composizione chimica dell’ambiente, attività di forze fisiche, che a propria volta costituiscono un sottoinsieme delle condizioni che consentono la vita sulla Terra. Il nostro corpo fisico ha dei precisi limiti strutturali, energetici, ambientali, biofisici e biochimici, entro cui può esistere come entità vivente, all’interno di quella soglia che lo contiene che è la pelle. Tuttavia sono limiti che non ci soddisfano, che nel corso dell’evoluzione della cultura umana abbiamo sempre percepito come stretti, che abbiamo cercato di superare. L’umanità è riuscita a inventare strumenti e dispositivi per volare, per muoversi sott’acqua, per vivere in mezzo al ghiaccio, per uscire dall’atmosfera terrestre, raggiungere la Luna (anche se per breve tempo) e progettare di arrivare su Marte. Ha debellato malattie un tempo mortali, in un paio di migliaia di anni ha quasi triplicato la durata della vita media (e l’ha quasi raddoppiata nell’ultimo secolo), si è dotata di protesi capaci di espandere enormemente le mere capacità del corpo. Ed è ormai pratica banale quella di comunicare istantaneamente da un capo all’altro del Pianeta, di trasmettere a distanza azioni, intenzioni, emozioni, superando alcuni dei limiti della nostra sensorialità… La cultura umana ha una tendenza innata a superare i limiti imposti dalla natura, a guardare e proiettarsi al di là di quelle soglie. È la tendenza che ha portato, a partire dall’Africa, nel corso di varie decine di migliaia di anni e ad ondate successive, i nostri antenati arcaici a colonizzare i continenti, adattandosi a una varietà di contesti ambientali e climatici ed espandendo le soglie di esistenza. È la tendenza che ha spinto a oltrepassare le Colonne d’Ercole, che ha portato ad esplorare e spesso ad atrofizzare i territori dell’hic sunt leones… che ha fatto della Terra, almeno geograficamente, un luogo relativamente conosciuto.
Dal punto di vista relazionale, sociale, viviamo quotidianamente attraversando di continuo, più o meno consapevolmente, una moltitudine di soglie, che separano e scandiscono i luoghi e le attività del nostro tempo. Tutta la nostra esistenza è modulata dalla presenza e dall’attraversamento di soglie, più o meno delineate ed esplicite, rigide o plastiche, permeabili o impenetrabili, della cui esistenza possiamo essere o meno consapevoli. L’evoluzione della cultura potrebbe essere interpretata come la continua mediazione con l’incessante emergere, plasmarsi e riplasmarsi, riposizionarsi, rimescolarsi e interagire di limiti, di soglie. Soglie fisiche, sociali, comportamentali, culturali, ideologiche, scientifiche…, che rimandano alla straordinaria complessità della relazione tra la cultura umana e l’ambiente in cui vive.
Grazie alle scienze, alle tecnologie, alle nuove conoscenze i limiti noti tendono a divenire fluidi, vengono spostati, ridefiniti o abbattuti, emergono nuove soglie: tra umani e macchine, tra reale e virtuale, tra naturale e artificiale, tra vita e non vita, tra umano e non umano, tra discipline scientifiche… Giuseppe O. Longo (“navigatore” della comunicazione, scienziato, teorico dell’informazione, narratore…) intravede un cambiamento radicale nel nostro rapporto coi robot, sviluppando alcune tematiche dello scorso numero di questa sezione dedicato alla “terza vita”. Che cosa accadrà quando i robot, la cui evoluzione è così rapida, diventeranno simili a noi in qualità legate alla coscienza, alla sensibilità, attraversando la soglia che li separa da noi umani? Emergono degli interrogativi fondamentali: “Che diritto abbiamo di costruire macchine tanto intelligenti e sensibili da capire che non lo sono abbastanza?” Ma anche: “Che motivo avrebbero creature tanto diverse da noi (e forse tanto migliori di noi) per voler diventare proprio come noi, se non quello di compiacere i loro vanitosi creatori?”
Nella dimensione sociale, in particolare nel campo dei processi rituali e delle loro trasformazioni, il concetto di soglia è stato indagato, tra gli altri, dall’antropologo inglese Victor Turner, coi concetti di “liminale” e “liminoide” (dal latino limen, “soglia”). Laura Gemini, sociologa e ricercatrice, nell’ambito della performance (e della Teoria della performance) nota come questi due concetti “si trovino a coesistere in una sorta di pluralismo culturale che caratterizza lo scenario eterogeneo e vario della societàmondo, di quella società cioè che si definisce nei termini della comunicazione e della meta-territorialità dall’immaginario garantita dalla diffusione dei media.”
Spesso i media celebrano le capacità di calcolo delle macchine che riusciamo a costruire come una sorta di panacea universale, anche in grado di simulare, emulare o riprodurre capacità biologiche, come per esempio la visione. Ignazio Licata, fisico teorico ed epistemologo, ci conduce attraverso la soglia che separa informazione e significato, mostrandoci come la complessità processuale e multilivellare del vedere non può essere racchiusa in un meccanismo di elaborazione, algoritmico: “In sintesi, i metodi computazionali possono risolvere parte del problema del ‘guardare e riconoscere’ ma non quello più ampio del ‘vedere’.” Un elemento che gli scienziati di Intelligenza Artificiale dovrebbero tenere ben presente.
Infine Glauce Rocha de Oliveira, ricercatrice brasiliana, si interroga sulla coesistenza di soglie di alterità (culturali, sociali…). Spesso consideriamo il mondo in termini di opposizioni (buono vs cattivo, reale vs virtuale, io vs altro, identità vs differenza…) che sono socialmente costruite. Tuttavia, più che le differenze, è interessante cogliere le interconnessioni come condizioni esistenziali, in quanto “esseri umani situati in diverse, valide, culture”. La coesistenza di alterità è dunque una questione di posizione, non di opposizione, di composizione sociale. “Dove siamo situati all’interno di questo mondo frattale? A quali pattern siamo tutti connessi?”
Pier Luigi Capucci