Per la prima volta in Europa la mostra Proto Anime Cut. Spazi e visioni nei film giapponesi di animazione, a cura di Stefan Riekeles e David d’Heilly, presenta alla Künstlerhaus Bethanien di Berlino i disegni originali dei più importanti registi e illustratori di anime.
Oggetti di culto negli anni Novanta, poi entrati a pieno titolo nell’immaginario pop del nuovo millennio, molti di questi film hanno fatto scuola a livello internazionale. Non soltanto per la raffinatezza tecnica ma soprattutto per la ricchezza delle invenzioni narrative e rappresentative, opere come Patlabor (1989), Ghost in the shell (1995), Neon Genesis Evangelion (1995), The Sky Crawlers (2008) hanno influenzato anche ambiti più trasversali come la pubblicità, i video musicali, la moda e persino l’architettura. La mostra è accompagnata da una ricca rassegna cinematografica e il prossimo anno si sposterà in Spagna, prima a Barcellona, poi a Madrid. La rosa di autori selezionati raccoglie senza dubbio le figure chiave della storia dell’animazione giapponese degli ultimi due decenni. Nell’ottica di valorizzare i contributi individuali all’interno di un processo produttivo complesso e corale è stato evitato l’approccio del making of dove si svelano i “trucchi” dietro le quinte dei film (tanto che non è per forza necessario averli visti tutti per apprezzare la mostra). Qui l’accento cade sull’aspetto progettuale e creativo degli anime sul quale poi si innesta il lavoro più tecnico degli studi di animazione. Per questo motivo sono esposti principalmente disegni, bozze, fotografie che hanno funzionato come appunti visivi e suggestioni, come materiale grezzo di partenza per il concept e lo sviluppo dell’anime. Gli autori provengono tutti da studi artistici “classici” e hanno vissuto in prima persona la rivoluzione dell’animazione digitale: una generazione cresciuta a cavallo di due culture visive che (a dispetto delle grandi differenze dovute all’introduzione dei nuovi mezzi tecnologici) celano molti elementi comuni. Infatti, nonostante la tensione visionaria e la rappresentazione avvenirista del futuro, queste opere si pongono in continuità non solo con la cultura cinematografica giapponese ma anche con i miti, le leggende e l’immaginario della sua tradizione letteraria.
Hideaki Anno costituisce forse l’esempio più famoso in proposito: animatore e regista, ha realizzato sia anime che film live action eccellendo in entrambi i settori. Padre della serie cult Neon Genesis Evangelion (1995), dieci anni più tardi ha prodotto anche l’omonima trilogia cinematografica di cui l’ultima parte dovrebbe uscire proprio nel 2011. I suoi disegni a matita sono raffinati studi di movimenti che poi costituiranno la base per l’animazione digitale. Nelle scene di battaglia, per esempio, s’ispira dichiaratamente al filone cinematografico dei tokusatsu (che significa letteralmente effetti speciali), un genere fantasy-horror popolato di mostri che si affrontano in scenari urbani come Godzilla (1954) o la serie TV Ultraman (1966). Chi è stato bambino tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta (come la sottoscritta) ha potuto vedere questa serie TV su qualche sgangherato canale locale in Italia. In mostra è visibile anche una parte del suo archivio fotografico (dal 2006 al 2008) dove le immagini sono ordinate per parole chiave: si tratta per la maggior parte di cantieri, fili, tubi, particolari insoliti di Tokyo dove la città è quasi irriconoscibile. Lo stesso Anno ha dichiarato di interessarsi maggiormente all’architettura e alle sue possibilità costruttive piuttosto che all’arte tout court quando concepisce i suoi scenari: la plausibilità tecnica occupa per lui un posto di primaria importanza tanto che, oltre alle fotografie, si avvale di consulenze esterne dal settore ingegneristico per la valutazione delle sue prime bozze.
Altrettanto intriganti sono le immagini di Hiromasa Ogura, art director di anime e videogiochi, che ha collaborato come location hunter con il regista Mamoru Oshii per le ambientazioni di Ghost in the shell (1995). Dopo un soggiorno a Hong Kong nell’estate del 1994 ha trasferito i suoi scatti in acquerelli riflettendo tanto le sfocature dovute all’afa che i contrasti delle riprese notturne. Da questo materiale visivo ha costruito una vera e propria scala di colori che è diventata la base tonale del film. Un procedimento analogo era già stato seguito per le scenografie di Patlabor (1989) che si basano, invece, sulla vecchia Tokyo degli anni Ottanta e restituiscono una gamma di verdi particolarmente ricca a sottolineare la luce estiva e l’atmosfera malinconica che accompagna lo svolgimento del plot. Anche Haruhiko Higami, già famoso in ambito pubblicitario per aver fotografato i giocattoli e i gadget della Bandai Entertainment, ha cominciato la sua carriera nel mondo degli anime grazie a Mamoru Oshii. Le sue fonti di ispirazione sono soprattutto i viaggi in altri paesi dove documenta costumi, riti e scenari che poi vengono riutilizzati in maniera eclettica nella produzione dei film.
La mostra offre una prospettiva unica di rilettura di questi film permettendo di accedere a una quantità di materiale difficilmente restituibile come “bonus” per un’edizione in dvd e, allo stesso tempo, rende omaggio a una delle forme contemporanee di espressione artistica figlie della rivoluzione digitale.
Clara Carpanini
D’ARS year 51/nr 205/spring 2011