Progettare il dopo: le esperienze di Rural Studio e Maria Giuseppina Grasso Cannizzo in mostra alla Biennale di Architettura. Due approcci che contribuiscono ad una cultura progettuale che guarda al futuro delle innumerevoli vite di materiali e funzioni.
C’è una parte nascosta del progetto di architettura e della sua esposizione in allestimenti per mostre, presentazioni e fiere che riguarda il dopo: una volta che il grande evento è finito e si chiude il sipario cosa ne è di tutti i materiali utilizzati? Così anche per gli edifici realizzati, cosa succede se il committente di una casa o di un ufficio cambia idea e vuole ripensare in autonomia funzioni e usi degli spazi che ha a disposizione?
Per chi progetta, immaginare il dopo non è mai semplice. Entrano in gioco troppe variabili per poter prevedere possibili cambiamenti e nuove esigenze, ma oggi più che mai è utile riflettere sull’utilizzo delle “cose”, degli oggetti, dei materiali, degli spazi in un’ottica di proiezione che tenga in considerazione le loro “future possibili vite”.
Il problema economico è sicuramente centrale: l’economia lineare, basata sul concetto di estrazione, produzione, consumo, smaltimento prevede che un oggetto, terminata la sua utilità per chi l’ha acquistato, diventi rifiuto. Una concezione del ciclo di vita del prodotto ormai insostenibile anche ecologicamente, basata sulla possibilità di reperire quantità infinite di risorse e materie prime. È qui, alla fine dell’utilizzo originario, che bisogna immaginare il futuro, progettare il dopo.
Riutilizzare materiali già esistenti, prodotti per altri scopi, ma ripensati per utilizzi differenti ha una lunga tradizione sia nella storia del design che in quella dell’architettura. Oggi la forza di un progetto architettonico sta anche nella sua capacità di adattamento ad usi alternativi da quelli pensati inizialmente: resistere nel tempo, essere capace di intercettare il cambiamento, prevedere l’impiego di soluzioni e materiali capaci di rispondere ad altre o nuove domande.
Esempio efficace è il contributo di Rural Studio (Newbern, Alabama, Stati Uniti) che, invitato da Aravena nella sua biennale REPORTING FROM THE FRONT, allestisce nello spazio dell’arsenale veneziano un piccolo teatro per mostrare i propri progetti, composto da oggetti dichiaratamente realizzati per altri scopi. Reti per letti ancora imballate, armadietti, pannelli costituiscono l’installazione in mostra per la durata della biennale ma in seguito saranno destinati ad un centro di accoglienza per senza dimora e ad un appartamento di edilizia sociale pubblica abbandonato in via di restaurazione (entrambi nell’area metropolitana di Venezia). Per la realizzazione del dopo evento Rural Studio ha collaborato con realtà veneziane attive in questa direzione: Architetture Precarie, studio di architettura attento ai temi della sostenibilità in tutte le sue declinazioni, e Re-biennale, associazione che lavora per la ricollocazione intelligente dei materiali riciclabili che vengono accumulati nello smantellamento delle biennali.
Rural Studio si occupa da anni di costruzioni di case unifamiliari e centri di aggregazioni e scuole nella cittadina di Newbern in Alabama, tutti i progetti sono a basso impatto economico e ambientale, utilizzano materiale prefabbricato e montato sul luogo. Il controllo di tutte le fasi del progetto fa si che ci siano meno perdite in termini di tempo e di risorse, e anche qui il “dopo” è preso in considerazione: tutto il materiale di scarto viene adoperato per i nuovi progetti.
In questa stessa Biennale Architettura 2016, l’architetta italiana Maria Giuseppina Grasso Cannizzo viene insignita della menzione speciale “per la perseveranza nel ricorrere all’integrità della disciplina per trasformare il quotidiano in progetti di architettura capaci di andare al di là del proprio tempo”. Il lavoro di Cannizzo è presente nella mostra al Padiglione Centrale – Giardini con l’esposizione Onore Perduto che illustra con uno sguardo a tutto tondo le sue opere di piccola scala, disseminate nel territorio siciliano, devastato da abusivismo edilizio ed ecomostri incompiuti.
L’allestimento racconta quel percorso progettuale lungo e accurato che investe ogni lavoro di Cannizzo, tramite disegni di dettagli che sovrastano lo spettatore rendendolo partecipe del tempo, dei tentativi e delle riflessioni: prove evidenti della volontà di governare tutto il processo progettuale e di realizzazione.
Anche in questo caso il risultato è il medesimo, minore spreco di risorse e una resa finale che s’interroga sul futuro, su quello che verrà dopo aggiungendo un ulteriore importante ingrediente: l’autonomia interpretativa di chi abita le strutture.
In tutti i suoi progetti l’architetta siciliana immagina un futuro possibile, in termini di cambiamento degli spazi e ri-modulabilità; le sue opere sono pronte ad adattarsi ai cambiamenti, alle innumerevoli variabili di configurazione attraverso pareti mobili e volumi che posso sostituirsi, aprirsi e chiudersi. Questo modo di concepire il progetto di architettura sottolinea la necessità di governare attraverso il progetto le trasformazioni e la reversibilità delle scelte, attraverso la continua resistenza contro la banalità e la mediocrità dell’ambiente costruito.
Salvatore Virgillito