Si intitola Drone Boning ed è il primo film porno girato con dei droni, diretto da Ghost + Cow, ovvero i registi Brandon LaGanke e John Carlucci. Potremmo ridurlo ad un’abile trovata, ma la visione di questo video può indurci riflessioni che vanno ben oltre l’iniziale simpatia.
Sebbene nella vita quotidiana non sia facile e spesso non sia nemmeno utile, ci siamo abituati all’idea che l’atto di osservare non possa essere diviso in chi osserva e chi viene osservato. Lo sguardo non può che darsi da un punto di vista e questo è un tutt’uno con l’oggetto osservato nell’esperienza del vedere.
Quando ci troviamo dietro lo schermo del nostro smartphone cercando un’inquadratura, in maniera più o meno conscia, sappiamo l’importanza dell’angolazione da cui la microcamera registrerà l’immagine. Dopo qualche tentativo siamo soddisfatti o desistiamo.
Se consideriamo la storia dell’audiovisivo dal cinema, passando per il video, fino alle tecnologie di telefonia mobile, non ci è difficile mettere in luce come il punto di ripresa sia andato progressivamente a rivolgersi verso l’operatore. Chiaro, le macchine da presa erano ingombranti e pesanti, difficili da spostare, le prime videocamere capaci di essere utilizzate da una sola persona sono arrivate solo negli anni settanta.
Negli anni novanta furono messe in commercio le prime webcam e quello che era stato un interessante espediente diventò un elemento formale riconosciuto, una pratica abituale.
Oggi ogni smartphone è dotato di due microcamere, la rappresentazione si fa sempre più autorappresentazione, il successo dei selfie ne dà prova.
L’immagine audiovisiva è cosa da esseri umani: fatta da esseri umani, per essere fruita da esseri umani e immancabilmente rappresenta esseri umani. Nel momento in cui lo sguardo volge ad altro rispetto a ciò che è umano, troviamo uno specchio che va oltre. Se poi la ricerca è proprio questa, quando il punto di vista e l’oggetto rappresentato fuggono via da ogni antropomorfizzazione, le immagini si fanno preziose.
Se il punto di ripresa è determinato da movimenti non umani, di altri animali o di macchine, ci rendiamo conto di quanto sia totalizzante la relazione tra osservatore e oggetto.
Una GoPro posizionata sulla testa di un vitello ci permetterà di registrare uno sguardo materno che non avremmo mai avuto altrimenti.
Le immagini che abbiamo più prossime ai reattori di Fukushima sono frutto dell’impiego di robot operatori teleguidati, un essere umano non sarebbe sopravvissuto alle radiazioni.
Ci sono immagini che non esisterebbero se non riprese da un punto situato lontano dalla condizione umana. Ma cosa succede al nostro corpo mentre ci autorappresentiamo con i nostri dispositivi? Come risponde al flusso di autorappresenzazione, agli slittamenti del punto di vista? Che effetti può avere un video sul nostro corpo?
L’evidenza degli effetti fisiologici dei nostri sguardi digitali è evidente se stringiamo il cerchio alla categoria di video che proprio sulle risposte del corpo riconosce la sua funzione: il porno.
Il porno condiziona tutto il nostro immaginario, non c’è bisogno di fruirlo per esservi spesso immersi, molta dell’immagine pubblicitaria ne è l’evidenza. Capita di poter incontrare analogia tra alcuni punti macchina frequenti nel porno e i punti di ripresa di molti autoritratti caricati sui social network. Il porno diffonde un’estetica basata sulle risposte del corpo ed essa a sua volta modifica i corpi. Il punto di vista ci dice molto su di noi e lo fa in modo particolarmente limpido quando siamo nudi.
Se rappresentiamo l’altro, spostandoci verso altri punti di vista, abbiamo la possibilità di dire qualcosa di più su di noi, qualcosa che ci fa fare un passo oltre l’umano.
La figura umana è immersa nell’ambiente come parte integrante di esso, il tutto viene ripreso da uno sguardo a volo di drone: il video che vi propongo è un porno che dispiega tutti i discorsi appena fatti.
Tommaso Megale