Negli ultimi tempi a causa soprattutto di questioni politico-economiche, si sono ripresentati con sempre maggior peso e frequenza alcuni fondamentali interrogativi riguardanti l’istituzione museo d’arte contemporanea. Si prendano esemplarmente in considerazione le discussioni che hanno coinvolto e continuano tuttora a coinvolgere il mondo dell’arte contemporanea nel nostro Paese, in seguito all’apertura del museo MAXXI (Roma) e in special modo alla profetizzata e/o minacciata chiusura del museo MADRE (Napoli). Vorremo a tal proposito con il presente scritto dare un nostro contributo, si spera utile, al dibattito in corso.
I quesiti intorno ai quali di discute e polemizza, come ben si può immaginare, sanno di stantio: in base a quali criteri condivisi si deve scegliere quali musei d’arte contemporanea finanziare pubblicamente? Come regolare la quantità dei sostentamenti? Il successo di un museo pubblico si deve verificare in base a fattori economici o prettamente a partire da un’ottica qualitativa artistico-culturale? Ed ancora, esiste un modello qualitativo artistico generale che consenta di valutare e giustificare al meglio le scelte della tipologia di opere d’arte da esporre, valorizzare, collezionare e conservare? Tutte questioni complesse, intricate ed intriganti, che possono essere esaminate da diverse angolature.
Cercherò di leggerle da un punto di vista estetologico, ovvero da una prospettiva che tenga conto delle riflessioni dell’estetica sulla pragmatica dell’arte contemporanea. Questo poiché ritengo che solo un sapere basilare di filosofia dell’arte post-moderna possa creare le premesse per una eventuale e auspicabile politica museale sperimentale non dogmatica.
Difatti se siamo disposti a condividere l’apriori secondo il quale tra i precetti a cui dovrebbero conformarsi le varie direttive del museo post-moderno (contemporaneo), quello basico e quindi imprescindibile è, in ultima istanza, la proposta pluralista del nuovo in arte ; allora un’ipotesi accettabile di poetica museale condivisa (collettiva) e innovativa (sperimentale) è formalizzabile.
Si definisce postmoderno quel ciclo dell’arte contemporanea che inizia pressappoco intorno ai primi anni ’70 del ’900 e che è – a tutt’oggi – vivo più che mai. Detto in altri termini, per noi la postmodernità artistica è, in senso stretto, quell’epoca dell’arte contemporanea che è nata – per poi successivamente imporsi – dopo la messa in crisi dello statuto dell’arte tout court, ad opera delle poetiche di matrice concettuale. Pratiche artistiche analitiche, queste ultime, che sono emerse nell’ambito di movimenti e tendenze quali: Neodadaismo, Nouevau Realisme, Pop Art, Minimalismo, Land Art, Fluxus, Body Art, Arte Povera e ovviamente Arte Concettuale; costituenti quel fenomeno eccezionale di “esplosione” e propagazione di ismi, denominato neo-avanguardia (avanguardia del secondo novecento).
Le poetiche di matrice concettuale hanno rivoluzionato l’arte poiché dichiarando che “arte è ciò che decidiamo che sia arte, indipendentemente dalla natura della cosa scelta a tal fine” hanno reso manifesto una volta per sempre “un principio costitutivo di tutta l’arte”. La logica d’uso dell’arte della nostra contemporaneità si differenzia da quella di epoche e/o culture altre, in quanto impone a tutte le opere – indipendentemente dalla loro struttura – che entrano nel suo circuito una vita “polisemicamente aperta”. Detto in altri termini, dopo l’avvento dell’Arte concettuale lo “sperimentalismo tecnico” finisce. Ora, considerato che l’età post-modernista come il suo nome ben visualizza – segna una linea di continuità con quella modernista sull’imprescindibilità della sperimentazione (la ricerca del nuovo) in arte, allora un nuovo tipo di arte sperimentale non può non essere istituito dalla pragmatica dell’arte post-moderna. Non resta che individuarlo e nominarlo. Cosa questa che è già stata fatta per la prima volta e correttamente da Lucio Nanni nel 1955 durante la sua conversazione Arte: la destituzione critica della comunicazione presso l’Università di Yale. Nanni ha definito un nuovo modello di sperimentalismo artistico, chiamandolo sperimentalismo etico. Lo sperimentalismo etico è quel tipo di sperimentazione artistica praticata da quelle poetiche dell’età post-moderna che portano nel campo dell’arte problemi etici. Per queste poetiche, che hanno lo scopo di porre all’attenzione del fruitore grandi temi sia socio-politici che esistenziali-ontologici, le tecniche restano ovviamente, ma non più – siano esse pure le più innovative e futuribili – “per la loro pura novità tecnico-percettiva (estetica), bensì per la loro capacità di significare, di portare a epifania e allora di simbolizzare necessità di autocoscienza vitali per la nostra e per ogni altra cultura”. Se si condividono queste tesi, allora il museo d’arte contemporanea dei nostri tempi e le istituzioni che lo sostengono dovrebbero essere disposti a condividere e quindi ad applicare alcuni principi di base che i presupposti di tali riflessioni storico-filosofiche rendono istitutivi.
In conclusione e prendendo apertamente posizione si rende evidente il fatto che i musei pubblici d’arte contemporanea che perseguono – dichiarandolo apertamente – come mission l’innovazione artistico-culturale assicurando al contempo il pluralismo etico ed il bene della collettività, dovrebbero proporre artisti che smuovono la coscienza del pubblico, sollevando quesiti etici ossia temi sia socio-politici che esistenziali-ontologici ed al contempo ridurre al minimo (indispensabile?) la presenza di quegli artisti che si ostinano astoricamente a perseguire la sperimentazione tecnica fine a se stessa.
Sarebbe inoltre necessario dare precedenza tra gli artisti (etici” a coloro i quali affrontano temi morali inediti oppure editi solo se letti da un’angolatura nuova, senza preclusione verso alcuna visione politica o morale.
Per quanto riguarda le relazioni con il sistema politico ed economico ritengo che, essendo istituzioni finanziate pubblicamente codesti musei dovrebbero tra gli artisti invitati ad esporre ridurre al minimo la presenza delle mega-star del sistema dell’arte. Tu, curator desideri esporre un’opera che affronti il tema-dilemma della morte? Bene! Evita di invitare Hirst. Vuoi invece proporre un’artista che si occupi dell’attuale e spinosa questione dell’identità femminile nelle culture islamiche? Non devi per forza di cosa invitare la diva Shirin Neshat. E così via. Detto in altre parole, il museo sperimentale contemporaneo dovrebbe illuminare con la propria aura l’artista etico e non viceversa lasciarsi illuminare passivamente dalla luce delle star dell’arte.
Fermiamoci qui. Queste osservazioni potrebbero essere un buon punto di partenza per la costituzione di un modello, ancora tutto da testare, per una poetica del museo contemporaneo sperimentale.
In conclusione e tornando al caso MADRE, citato in apertura di discorso in quanto esemplare per testare l’efficacia di codesta nostra proposta di poetica museale, penso che volendo tener in debito conto i precetti appena esposti, si potrebbe avviare un dialogo politico-culturale proficuo, atto ad evitare da un lato spese eccessive da parte del MADRE e dall’altro a scongiurare tagli drastici allo stesso museo per conto delle istituzioni politiche di competenza. Uno degli esiti più immediati sarebbe l’abbassamento notevole dei costi delle esposizioni mantenendo al contempo il carattere innovativo, collettivista e pluralista che lo stesso MADRE pone al centro della sua mission. Naturalmente bisognerebbe mettere da parte la sterile militanza partitica sia delle istituzioni politiche che di quelle artistico-culturali, in nome dell’arte ovvero della sua unicità nel generare alti valori spirituali garantendo al tempo stesso il pluralismo delle visioni del mondo.
Domenico Esposito
D’ARS year 50/nr 204/winter 2010