Please come back. Il mondo come prigione? Al MAXXI di Roma una mostra che riflette sulla costrizione e sulla reclusione, sui muri che si stanno costruendo fra paese e paese, sui migranti, sugli antagonismi sociali e sulla guerra.
Un progetto complesso curato da Hou Hanrou e Luigia Lonardelli dove l’Occidente è sotto accusa e l’enigmatica scritta in neon dei francesi Claire Fontaine PLEASE COME BACK viene presa come titolo e contenuto polivalente.
Se “l’Occidente” diventa una fortezza, bisogna ricordare come le fortezze assomigliano o diventano infine prigioni; questo il tema centrale della mostra.
In mostra: l’insegna Please come back si accende e si spegne come in una malinconica strada urbana mentre Elisabetta Benassi riproduce il box anti-proiettili in cui l’attivista afroamericana Angela Davis fece un intervento pubblico negli anni 60. Dal tema della sorveglianza si passa al tema della guerra nel video di Ra Di Martino che propone la documentazione dell’uso di falsi carri armati utilizzati durante la prima guerra mondiale per mostrare una (falsa) difesa della città.
Fra controllo e guerra il lavoro forse migliore della mostra è quello della curda Jananne Al-Ani: visioni dall’alto riprese dai droni di territori e luoghi. La “visione impassibile”dei droni è accompagnata da una cupa colonna sonora che suggerisce azioni che non si vedono. Shadow Sites è il titolo della video-installazione che rende con notevole forza il rapporto fra macchina e guerra, fra la sorveglianza e l’estrema violenza che si è scatenata nel Medio Oriente.
La distanza apparente dello “Sguardo dall’alto” è l’elemento più inquietante del lavoro, come lo sguardo del carceriere nel Panopticon non è visto ma vede. È uno sguardo-ombra che proietta un’atmosfera di minaccia costante. Ma la prigione può anche essere costruita con una recinzione per chiudere o per rinchiudersi, come fa Carlos Garaicoa che costruisce un muro che circonda la sua casa enunciando: Non voglio più vedere i miei vicini. Denuncia della paranoia urbana, rinuncia ai rapporti?
Una compilation di video proiettati su grandi schermi presentano molteplici letture e punti di vista sui temi della mostra. È sulla prigione la video-intervista di Gianfranco Baruchello, sguardo di comprensione sui problemi che hanno portato i carcerati al carcere. Come anche il forte montaggio di realtà e analisi delle strutture carcerarie fatto da Harun Farocki che colloca gli elementi del controllo e la valenza della prigione in una razionalizzata scacchiera in cui si muovono legge e fuorilegge.
Fra i video rompe la linea neo-concettuale della mostra il lavoro degli AES+F, Inverso Mundus, che invade i maxischermi con una spettacolare e teatrale sfilata psico-politica che parte dai mondi alla rovescia, popolari rappresentazioni che dal medioevo rappresentavano l’ipotesi di un mondo di cui si rovesciano le leggi. Il re serve il popolo, il folle comanda, il cavallo cavalca l’uomo. Lo stile del gruppo si è fatto nel tempo ancora più kitsch e le immagini sono più gelide della più fredda iconografia della moda. In un ripetersi liturgico di gesti sempre uguali, i potenti lasciano il posto ai reietti, gli uomini alle donne e queste ai bambini e così via, con il ritmo cadenzato di una marcia musicale da grande opera.
Il linguaggio artificioso dei ritocchi digitali che si direbbe influenzato dal videomaker polacco Zbigniew Rybczyński che negli anni 80-90 aveva esplorato per primo le possibilità del video digitale in produzioni sontuose, altamente kitsch e spettacolari come oggi fanno gli AES+F. Spettacolarità che fa pensare anche al lavoro cinematografico dell’americano Matthew Barney e che si guarda con curiosità e divertimento in mezzo alle (giustamente) severe installazioni che compongono una mostra stimolante.
Lorenzo Taiuti
Please come back. Il mondo come prigione?
Dal 9 febbraio al 21 maggio 2017
MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo
Via Guido Reni 4, Roma
L’opera Temps Mort di Mohamed Bourouissa è visibile ogni sabato dalle 15.00 alle 19.00