Berlino rende omaggio alla coreografa Pina Bausch con una retrospettiva presso il Martin Gropius Bau, dedicata alla storia e agli sviluppi del suo celebre Tanztheater e visitabile fino al 9 gennaio 2017.
La giovane danzatrice tedesca Pina Bausch, scomparsa nel 2009, studia con Kurt Joos alla Folkwangschule di Essen e nei primi anni Sessanta parte per gli Stati Uniti come borsista della prestigiosa Julliard School of Music, dove ha la possibilità di lavorare con il New American Ballet e la Metropolitan Opera House. Rientrata in Germania nel ruolo di solista al Folkwang-Ballett, comincerà ad assumere progressivamente degli incarichi d’insegnamento finché per la stagione 1973/1974 arriva la nomina a direttrice del corpo di ballo di Wuppertal. Nasce così il Tanztheater, che produrrà alcuni dei più importanti spettacoli di danza contemporanea degli ultimi decenni come Le Sacre du Printemps (1975), Blaubart (1977), Café Müller (1978), Walzer (1982), Nelken (1982), Palermo, Palermo (1989), Ein Trauerspiel (1994), Der Fensterputzer (1997), Água (2001), Nefés (2003), Sweet Mambo (2008).
Un punto cardine della mostra al Martin Gropius Bau è proprio il tentativo di far luce sui processi costruttivi dei suoi oltre 50 balletti che hanno rivoluzionato le forme espressive del corpo, aprendo il movimento sul palcoscenico ai più svariati contributi teatrali, quotidiani, materiali.
Per l’occasione è stata ricostruita la sala prove del gruppo, normalmente inaccessibile ad esterni, dove il pubblico può trovare alcuni rari filmati che documentano il complesso lavoro di ricerca e preparazione dietro le quinte. Si tratta del vecchio cinema Lichtburg a Wuppertal, uno spazio chiuso e insolito, senza finestre, dunque estremamente intimo e minimale, una sorta di laboratorio trasformativo dove sono stati creati tutti i suoi pezzi più famosi.
Pina Bausch ha collaborato con più di 125 danzatori di età e nazionalità molto diverse, facendo leva sulla personalità di ognuno attraverso un approccio aperto di ricerca sulle potenzialità del corpo e della danza stessa. Durante la visita, il pubblico ha la possibilità di partecipare a brevi warm-up o workshop con alcuni di essi, consentendo alla dimensione più propriamente performativa di entrare nella mostra.
Sebbene si possano vedere bozze, carteggi, costumi e parti di scenografie, il percorso espositivo consiste principalmente di materiale video: filmati inediti, interviste, spezzoni di spettacoli. Il tutto si articola in sei tappe che prendono come riferimento il celebre discorso What moves me tenuto nel 2007 alla consegna del premio Kyoto per le Arti e la Filosofia, disponibile in versione integrale anche sul sito della Pina Bausch Foundation.
Uno degli aspetti più affascinanti che vengono approfonditi è sicuramente quello del metodo. Queste coreografie, infatti, non nascono da un repertorio preciso o da una scrittura prestabilita ma si compongono in maniera frammentaria sulla base di domande e parole chiave sottoposte di volta in volta ai danzatori. Tutto ciò che di solito sta all’esterno viene recuperato e coinvolto attraverso proposizioni, risposte, improvvisazioni, oggetti, rumori… Nulla è precluso a priori, lo sguardo sulle cose e sul corpo è quasi infantile, liberato da pregiudizi. In un tempo di prova che sembra dilatarsi sulla scena, la Bausch sollecita, sceglie o scarta senza motivare, cercando piuttosto di mantenere nel dialogo creativo quell’energia e quella intensità che andranno a guidare lo sviluppo complessivo del pezzo.
Clara Carpanini