Secondo grande appuntamento dell’autunno parigino inserito nel mese istituzionalmente dedicato agli scatti, Paris Photo è considerata la più importante fiera di fotografia del pianeta. 143 gallerie provenienti da 35 differenti nazioni, il gotha della fotografia si è riunito tra il 13 e il 16 novembre nella splendida cornice del Grand Palais.
Abbandonata la (fu) tradizione del Paese invitato d’onore, quest’ultima edizione non ha assunto una connotazione precisa in termini di contenuti. Non mancava nessuno all’appello: ritratto, paesaggio naturale, industriale e urbano, reportage, qualche rara astrazione, grandi nomi del passato consacrati dalla storia (Irving Penn, Edward Weston, Diane Airbus, Henri Cartier Bresson, Robert Mapplethorpe, la lista è lunga…), affermati interpreti contemporanei (Sebastiao Salgado, Robert Polidori, Edward Burtynsky, David LaChapelle, Stéphane Couturier etc… ), emergenti in cerca di un riconoscimento internazionale. Tutti riuniti a costituire una vetrina per una volta di discreto interesse, percorrendo la quale avventurarsi alla scoperta di visioni alternative alle proprie. È il caso ad esempio del tedesco Sebastian Riemer che si avvale del procedimento fotografico per analizzare la creazione dell’immagine ed esplorarne i dettagli.
Altri hanno fatto del proprio obiettivo la bandiera di una battaglia per la libertà di espressione. La galleria Paris-Bejing ha scelto di presentare una micro-mostra – The invisible red line – dedicata a fotografi cinesi i cui lavori sono stati oggetto di censura da parte del loro governo. Oltre ai celebrati Ai Weiwei e Liu Bolin, da segnalare Hei Yue, che sfida le autorità esibendo le proprie terga di fronte a simboli del potere o della tradizione e i Gao Brothers che incentrano la propria attenzione sulla satira politica.
La galleria Taik Person ha scelto di celebrare i 20 anni della scuola di Helsinki rinnovando ogni giorno l’installazione dello stando a creare un dialogo tra differenti generazioni di fotografi.
Alle atmosfere spesso ovattate degli scandinavi fa da contraltare l’australiano Murray Fredericks che trasporta l’immaginazione verso paesaggi sconfinati nei quali lo sguardo si smarrisce nel confrontarsi all’esperienza di una libertà in precedenza mai sperimentata.
Come di prammatica però anche le note stonate hanno fatto la loro parte. In seno a Paris Photo quest’anno è stato il turno dei cinque premiati del concorso SFR Jeunes Talents: inutile menzionarli perché non rischiano di lasciare tracce con la propria produzione. A meno che, beninteso, non decidano di abbandonare lo stile da studentelli in cerca d’autore…Per quanto invece attiene l’off della fiera, tra le molteplici iniziative che creano un’offerta composita in termini di qualità e talenti, la già brillante Fotofever – che nel breve volgere di tre edizioni sembrava potersi porre come valida alternativa alla fiera principale – è stata un disastro. Moltiplicato il numero degli stand in uno spazio angusto e soffocante, il prevalere della logica economica sulla selezione degli espositori ha determinato un tracollo qualitativo e professionale dell’evento.
Danilo JON SCOTTA