“Io non conosco nella storia dell’arte un quadro più violento e nello stesso tempo più amorevole di Guernica. Il pittore di Malaga ci ha tradito. Gliene siamo riconoscenti. Era prevedibile. Da quando la vita si è identificata con ‘l’essere per la morte’ di Heidegger e la violenza è diventato il solo gesto umano, ogni giustificazione alla nostra entità si è chiamata astrazione”.
Sono parole che Paolo Scheggi scrive nei primissimi anni sessanta, quando approda a Milano dopo aver lasciato la sua Toscana (era nato a Settignano nel 1940) e dopo aver frequentato un corso di visual design a Londra. L’eco assordante di quel grande quadro di Picasso, esposto a Milano tra il settembre e il novembre del 1953, era ancora viva. Anche se probabilmente Scheggi non aveva fatto in tempo a vederlo dal vero (per questioni geografiche e anagrafiche), tutta una generazione di artisti non avrebbe comunque più potuto prescindere da quel racconto umano e bestiale, da quelle forme rotte e squadrate, disperatamente ricomposte in un collage di bianchi, neri e grigi. Scheggi, come lui stesso ammette, non solo è tra coloro che sentirà tutto il dramma di quel racconto, ma sarà profondamente convinto che la violenza è parte inevitabile della vita e dell’animo umano. Un côté tragico che non sempre è stato letto nelle opere dell’artista, ma che occorre tenere ben presente se le si vuole comprendere fino in fondo.
Tant’è che l’altro riferimento sostanziale (ribadito anche nella frase che abbiamo usato come incipit) è alla filosofia di Heidegger, con la sua schietta e lucida drammaticità, che ha radici nell’inesorabile consapevolezza del destino umano (quasi un presagio di quel viaggio che per Scheggi sarà ancor più fulmineo e che se lo porterà via a soli trentun anni), ma anche un elemento da considerare davanti alle ombre, alle pieghe e ai vuoti delle sue opere e di tutta una generazione che, come lui, ha trovato nel progetto dell’esistenza e nella coscienza teorizzati dal filosofo tedesco un’inesauribile fonte di verità e un ulteriore stimolo alla ribellione.
Infine, l’astrazione, un terreno su cui si muoverà l’intera sua ricerca, anche se con intenti e sfumature diversi, ma costantemente sintonizzata con l’ambiente artistico che aveva intorno. Infatti, accanto a Fontana, Manzoni, Agnetti, Castellani, Dadamaino, il lavoro di Scheggi appare oggi chiaro e inequivocabile: rigoroso, profondo e figlio del proprio tempo. Glielo aveva scritto anche Fontana nel 1962: “sei uomo del tuo tempo”.
A ricostruirne il breve ma intenso cammino ci ha pensato Luca Massimo Barbero in un elegante catalogue raisonné, edito da Skira, che finalmente fa il punto su tutta la sua produzione: dalle prime Lamiere alle Zone riflesse, dalle Intersuperfici agli ambienti spaziali passando per la poesia visiva.
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Loretta Giudici
D’ARS anno 56/n. 223/estate 2016 (incipit dell’articolo)