FINO ALL’8 NOVEMBRE LA KUNSTHALLE DI MAINZ ha ospitato New Powers/Neue Kräfte la prima mostra personale dell’artista scozzese David Shrigley in Germania. Noto soprattutto per i suoi disegni e illustrazioni, per una serie di libri tra cui Who I am and what I want, Kill your pets, Ants have sex in your beer, per i suoi lavori di animazione e per le vignette pubblicate su diversi giornali inglesi, in Italia non ha ancora ricevuto grandissima attenzione dal circuito artistico ufficiale sebbene sia molto amato dai più giovani, specie nell’ambiente degli illustratori, dei fumettisti e dei musicisti; tra le sue opere d’animazione ci sono anche due video musicali: Good Song per i Blur e Agnes, Queen of Sorrow per Bonnie Prince Billy.
Nato nel 1968, Shrigley appartiene a quella generazione di artisti che, a partire dai primi anni Novanta in un contesto sottoculturale e anti-mainstream, coltivano la cosiddetta anti-arte facendosi portavoce di una protesta individuale, post-romantica, talvolta strampalata che non fa più appello alle contrapposizioni ideologiche ma scaturisce dall’esperienza quotidiana e dal vissuto personale. A differenza dei movimenti di fine anni Sessanta e primi anni Settanta, l’approccio alla realtà non è visionario e utopico bensì idiosincratico, ironico, addirittura nevrotico. L’avvento della globalizzazione sembra aver rafforzato il senso d’impotenza rispetto alla storia e ai grandi eventi collettivi alimentando questa ribellione “da cameretta” segnata da una profonda sfiducia nella società e dal rifiuto dei suoi miti progressisti. Nonostante la morte dell’autore, la fine della visione romantica dell’artista come genio, il rifiuto dell’aspirazione totalizzante, l’arte contemporanea perpetua in modo contraddittorio un certo atteggiamento modernista, proprio quando (come in questo caso) colloca alcuni artisti al di fuori della presunta “norma” e attribuisce loro quei valori perduti di spontaneità, brutalità, istintività. In termini più generali è la questione dell’autenticità a tormentare le controculture fin dal momento in cui si affermano all’interno della società di massa; e ancor più con l’avvento di internet e della comunicazione istantanea si ha l’impressione che ogni movimento alternativo venga immediatamente divorato dal mainstream, bruciato dalla potenza delle immagini che lo diffondono in tempo reale. Da qui il ripiegamento su se stessi, la ribellione come forma d’intimismo, l’ingenuità come antidoto alla logica calcolatrice del tardo capitalismo.
Questa marginalità, più o meno fittizia, ha reso alcuni artisti delle vere e proprie star: basta pensare al caso di Raymond Pettibon, laureato in economia e fratello del chitarrista dei Black Flag, celebre gruppo punk americano con il quale ha collaborato in diverse forme (dalla musica all’artwork) fino a metà anni Ottanta. Negli anni Novanta il suo nome si lega a un’altra band di culto della scena rock alternativa, i Sonic Youth. Da quel momento diventa, soprattutto per i suoi disegni, uno degli artisti più acclamati della scena internazionale. David Shrigley, più giovane di dieci anni, incarna ancor più la tendenza al disimpegno politico delle nuove generazioni; la sua battaglia è solitaria, il suo atteggiamento oscilla tra quello dei beautiful losers americani (a cui la Triennale di Milano ha dedicato nel 2006 una mostra molto interessante) e quello dei nerd adolescenti che passano giornate intere sul computer.
I suoi disegni, per lo più in bianco e nero, nascono da un processo di riduzione ai minimi termini della realtà e sono attraversati da uno humour nero che stravolge ogni logica razionale di comprensione. Esposti all’interno di un’installazione a parete, si leggono come un fumetto ma non costituiscono una storia unitaria.
Non c’è narrazione bensì una sorta di monologo interiore fatto di piccoli stupori, di scatti e distrazioni, di associazioni libere; allo stesso modo i video di animazione raccontano brevi storie di curiosità e disavventura che pur partendo da una situazione reale la piegano a un sentire interiore, quasi allucinato. Il lavoro di Shrigley parte dalle parole quotidiane per attraversarle in senso metaforico (come accade, per esempio, in Alice nel paese delle meraviglie) e scardinarle dal loro contesto immediato di significazione fino ad entrare in un circuito visionario. Le cose più banali e il mondo che diamo per scontato si rivelano così in maniera completamente inattesa. È come se ogni tentativo di stabilire un dialogo con l’esterno incontrasse la frustrazione della realtà e si ripiegasse su se stesso, tra senso di fallimento e intuizione emotiva. Il gap tra immaginazione e logica rappresenta il terreno fertile da cui scaturisce il segno sintetico dell’artista scozzese che ha affascinato anche il mondo della moda: di recente, per esempio, ha collaborato con la famosa azienda di maglieria Pringle of Scotland per la produzione di una tiratura limitata di capi e t-shirt che rispecchiano l’attitudine ironica e “do-it-yourself” della sua produzione grafica.
Clara Carpanini