Nessun luogo. Da nessuna parte. Viaggi randagi con Luigi Ghirri è una mostra e un libro di Franco Guerzoni (Modena, 1948).
Il libro, edito da Skira, a cura di Giulio Bizzarri e con un saggio introduttivo di Arturo Carlo Quintavalle, ripercorre la storia dell’amicizia con Luigi Ghirri (Scandiano, 1943 – Roncocesi, 1992) e i loro “viaggi randagi” degli anni ’60/’70 per le strade di Modena e la pianura padana a bordo di una Cinquecento. Durante questi viaggi esplorano il mezzo fotografico attratti da un paesaggio in rapido mutamento, in cui coesistono cantieri, edifici in costruzione e rovine. Sono anni di formazione, di sperimentazione e di ricerca, che influenzano enormemente la prassi artistica di entrambi. Dice Guerzoni: «La mia intenzione è solo quella di raccontare il laboratorio mentale che presiede alla costruzione dell’immagine. Un racconto di piccoli momenti di vita, fatti di ambizioni, pensieri, progetti, allestimenti, poetiche originarie della nostra ricerca. E la mostra accoglie tentativi di opere, mai esposte prima».
La mostra, a cura di Davide Ferri e organizzata da Triennale di Milano, Skira editore e Nicoletta Rusconi Art Projects con il contributo di Hedge Invest – società del Gruppo Antonello Manuli Holdings –, è stata inaugurata il 9 ottobre presso la Triennale di Milano e funge da contraltare al libro, approfondendo il legame tra Ghirri e Guerzoni e ricollocando nel presente le tracce dell’esperienza dei “viaggi randagi”.
Luigi Ghirri negli anni ‘60/’70 realizza numerosi scatti per Guerzoni, che quest’ultimo utilizza, stampando in bianco e nero, come punto di partenza per il suo lavoro con interventi materici e segnici (le serie Archeologia, Dentro l’immagine, Affreschi). Altri scatti, invece, sono rimati a lungo nell’archivio dell’artista e vengono mostrati per la prima volta. Nei grandi dipinti “gessosi” realizzati nell’ultimo anno, invece, sono le foto di Ghirri– stampate su gesso, vetro e carta leggera – ad emergere dalla materia, e non viceversa. Queste opere ripropongono una “poetica della rovina”, in cui il frammento è visto come un tutto e costituiscono il fulcro narrativo dell’esposizione, il punto di incontro tra il passato e il presente di due artisti e amici accumunati dalla ricerca sull’immagine.
Eleonora Roaro