Solakov è un artista che mi affascina. Mi affascina per il semplice fatto che mi sorprende continuamente, non riesco a inquadrare esattamente il suo lavoro, che si avvale in maniera compulsiva di installazioni, disegni, fotografie, proiezioni, piccole presenze nere sui perimetri di mura domestiche, performance, il tutto condito con ironia caustica in bilico sul non-sense. La retrospettiva allestita negli spazi stretti e lunghi della Fondazione Galleria Civica di Trento è stata l’occasione per approfondire la sua conoscenza attraverso un viaggio di 30 anni, un viaggio metafisico, si intende, un’Odissea di opere che salpa con le premesse di un artista muralista di partito e approda con installazioni minimaliste e storie dissacranti di qualsiasi mito culturale e tabù contemporaneo. Il titolo della mostra All in (my) order, with Exceptions è sicuramente indicativo dell’operazione intellettuale compiuta dall’artista nella selezione delle opere esposte ed è il frutto di un’interessante cooperazione tra autore, curatori ed Istituzioni. La retrospettiva infatti è l’ultima tappa della mostra All in order. With exceptions che si è svolta presso Ikon Gallery di Birmingham, S.M.A.K. di Ghent e Museu Serralves di Porto nelle quali i rispettivi curatori hanno scelto ciascuno un’opera significativa per ogni anno della carriera artistica di Solakov (con debite eccezioni come recita il titolo), con un solo veto: questi lavori non potevano ripetersi nelle diverse sedi, dando origine inevitabilmente a mostre diverse tra loro. Non solo, una volta giunto il momento della Fondazione Galleria Civica di Trento, Solakov interviene in prima persona e compie direttamente la scelta dei lavori da esporre. L’occasione allora si fa golosa, perché a Trento fino al 5 febbraio 2012 abbiamo la rara possibilità di entrare dentro la “pancia” dell’artista, in questa retrospettiva la sua visione non è mediata, la sua parola non è arginata. Solakov installa le sue creazioni e scrive commenti a ruota libera, sulle opere stesse, sull’ipotetica reazione dello spettatore, sulle sue esperienze autobiografiche, persino sulla mostra in corso. Ad esempio, nella prima sala, sotto il dipinto murale realizzato nel 1984, troviamo sul bordo nero le seguente frase scritta a pennarello bianco: Questo non è un buon dipinto, scusatemi. Gli altri curatori hanno scelto davvero il meglio del 1984. Tuttavia, il soggetto funziona ancora. Immagino funzionerà sempre. (la scena rappresenta una folla con un bicchiere di vino in adorazione del potente di turno).
L’esposizione si snoda in senso cronologico e ripercorriamo passo per passo le tappe della vita di Nedko Solakov attraverso la lettura in senso stretto (perché quasi ogni pezzo è corredato da commenti e narrazioni) delle sue opere. Nedko Solakov nasce a Tcherven Briag, in Bulgaria nel 1957; durante il servizio militare gode di una certa libertà espressiva essendo un artista specializzato nella pratica murale senza però mai cedere al canto dell’epopea sovietica. Anzi, con il senno di poi cogliamo già quella sua vena candidamente canzonatoria, che il frutto di un approccio auto-ironico alla vita, linfa vitale di tutta la sua produzione artistica inscindibile dall’esperienza autobiografica. La catarsi vera e propria giunge dopo il 1989, anno della caduta del muro di Berlino, con l’esecuzione dell’opera Top secret. Si tratta di uno schedario contenente varie cartelle, concepito come una confessione di un uomo impegnato in relazioni di amore, politica, sesso, storie di fantasia mescolate alla scottante dichiarazione di avere collaborato con i servizi segreti del regime in Bulgaria. Collaborazione iniziata sulla fiducia romantica accordata al sistema in gioventù e di cui si libera con un’ammissione pubblica (sempre che si tratti della verità) attraverso la pratica artistica, probabilmente con l’obiettivo di alleggerire la propria coscienza. Ma la cosa interessante è che il polverone sollevato allora da Solakov con questo lavoro, continua ad essere alimentato dall’interrogativo, dal dubbio che si tratti di una delle sue curiose invenzioni per spiazzarci, confonderci, farci sorridere di noi stessi.
Così come la sua personale rivisitazione delle favole dei fratelli Grimm è il risultato di un rimescolamento continuo di fonti originali e immaginazione dell’artista che ama proseguire la storia dopo il E vissero felici e contenti conclusivo per farne delle illustrazioni, spesso spregiudicate e dissacranti, moralmente scorrete direi…e quindi solo per adulti. Solakov applica continuamente il meccanismo del capovolgimento, crea favole per grandi e nello stesso tempo semplifica la realtà di questo intricato mondo generato dagli adulti, filtrando i fatti politici, sociali, culturali con la sua visione da bambinone ingenuo, capace di sdrammatizzare le tensioni della vita. Durante la sua carriera artistica Solakov non ha risparmiato nessuno, dagli anni Novanta in poi smonta innocentemente la fiducia incondizionata verso il futuro capital-europeista, senza ugualmente risparmiare critiche alle censure del pensiero comunista, dando voce ai suoi personaggini fumettistici che popolano le sue mostre. E dove non ci sono loro che si agitano nervosi e spesso in conflitto gli uni con gli altri, c’è la sua parola, le sue short stories, i suoi racconti a muro. Emblematica l’installazione Discussion (Property) dove l’attenzione è catturata da un kalashnikov appeso al muro: attraverso video, parole e disegni Solakov racconta e indaga la lunga diatriba tra Ex Unione Sovietica e Bulgaria per la produzione e la vendita del famoso mitra. La mostra alla Fondazione Civica si snoda lungo diverse installazioni, che in alcuni casi sono il frutto di un compromesso improvvisato, come questa versione di Red. Qui l’artista assemblea a parete una serie di ready made obbligatoriamente rossi: un cuscino a forma di sole, attrezzi da lavoro, disegni e oggetti vari, tra i quali partecipa persino l’estintore della sede espositiva, inamovibile per ovvie ragioni di sicurezza, che Solakov decide di inglobare nella stessa, con tanto di suoi appunti esplicativi a pennarello.
La retrospettiva si chiude con una visione insospettabilmente poetica: una cornice antica racchiude con i suoi armoniosi riccioli la seguente frase: questa cornice d’oro limita l’esistenza di questo vero saggio pensiero, che è: conosco il mio inizio, e, pare, conosco la mia fine. Esaustivo e profetico come un proverbio cinese.
Morena Ghilardi
D’ARS year 51/nr 208/winter 2011