La Ballad di Nan Goldin, uno dei lavori più conosciuti della fotografa statunitense, per la prima volta in Italia. 700 immagini che ritraggono la bellezza della fragilità umana attraverso un obiettivo fotografico schietto e senza filtri.
The Ballad of Sexual Dependency di Nan Goldin alla Triennale di Milano è qualcosa di meravigliosamente coinvolgente. Non ci sono molte fotografie nello spazio dedicato all’installazione, compare solo qualche manifesto utilizzato dall’artista nelle esibizioni newyorkesi.
L’atmosfera è molto intima e velata e tutto si concentra in una stanza buia dove una proiezione e della buona musica catturano le nostre emozioni e ci trasportano indietro nel tempo. Un video di 700 immagini a colori, della durata di 45 minuti, ripercorre gli anni ’70 e ’80 con tutti gli eccessi, le stravaganze, la voglia di libertà e l’inibizione che li caratterizza. Nan Goldin vive intensamente quegli anni e attraverso la sua macchina fotografica cerca di cristallizzare un’intera generazione, senza mediazioni.
La fotografia di Nan Goldin (Washington 1958) va oltre qualsiasi forma di apparenza, è intensa così come lo sono i soggetti che decide di ritrarre. Si tratta soprattutto di suoi amici, compagni di vita, emarginati e freak. Goldin ha creato un vero e proprio genere caratterizzato da una naturalezza al limite dell’amatoriale. Sono immagini da cui traspare tutta la fragilità umana e la solitudine.
Attraverso queste immagini la vecchiaia, l’amore, l’infanzia, la morte, la solitudine e il disagio scorrono davanti ai nostri occhi in maniera dolce e violenta allo stesso tempo.
The Ballad of Sexual Dependency è il lavoro più conosciuto di Goldin, avviato agli inizi degli anni ‘80 e poi continuamente ampliato e aggiornato. L’artista attraverso le sue fotografie racconta la parte più trasgressiva dell’esistenza umana con approccio intimo e personale. Affronta temi molto delicati, tra cui l’AIDS, e lo fa attraverso un obiettivo fotografico che “cattura” quegli amici sieropositivi in tutta la loro disinvoltura, nonostante la malattia.
La fragilità umana diventa l’immagine della bellezza più sincera. La diversità e l’anticonformismo sono le caratteristiche che rendono queste fotografie opere d’arte senza tempo. Il ricorso alla macchina fotografica per raccontare se stessa è fondamentale nell’interpretazione dei suoi lavori. L’empatia che trasmette attraverso questo singolare work in progress lo rende un vero e proprio diario spirituale, fatto di storie “complicate” che non devono vergognarsi di essere tali perché è proprio nella loro diversità che si nasconde la bellezza.
Flavia Annechini
The Ballad of Sexual Dependency
a cura di François Hébel
Fino al 27 novembre 2017
La Triennale, Milano