“Se la cultura di una nazione sopravvive,
allora sopravvive anche la nazione”. Jan Mládek
Si giunge all’isola di Kampa attraversando il Ponte Carlo, dopo aver sostato davanti alla torre dell’orologio astronomico, nella Piazza della Città Vecchia. Il quartiere, situato tra la Moldava e una sua diramazione, la Čertovka, detta il Ruscello del Diavolo, era in passato ricco di mulini. Proprio dalla ristrutturazione di uno di essi è sorto il Museo Kampa, che domina sulla sponda del fiume con un’architettura sobria, ma totalmente moderna per l’uso dei vetri, dei metalli, delle luci. Immerso nel verde di un parco, l’edificio si sviluppa su cinque piani: dalla sua sommità si può godere lo splendido panorama di Praga che si estende con i suoi sette colli, le torri medioevali e gotiche, i campanili, i palazzi rinascimentali, le chiese barocche, le cupole neoclassiche e liberty.
Il Museo fu inaugurato nel 2003, dopo l’eccezionale inondazione dell’anno precedente, quando la Moldava, straripando, lo aveva allagato fino a cinque metri d’altezza. La piena trascinò, a cinquanta chilometri di distanza, la monumentale sedia in legno grezzo, situata sulla sponda e alta nove piedi, scolpita da Magdalena Jetelová: fu ritrovata, a pezzi, presso la città di Melnik. Una processione di trentaquattro pinguini gialli e fluorescenti, installati nel 2008, dal Gruppo Cracking Art, sfila, in permanenza, sul bordo del fiume di fronte al palazzo, rallegrando la vista ai turisti in battello. All’interno, si scopre la qualità alta dell’arte ceca e la sua originalità nel conservare, unita alla riflessione mitica sulla Storia, uno spirito ironico, incline al paradosso, tendente a sublimare nel fantastico il pathos della tragedia. Del resto, la tradizione teatrale, resa popolare dagli spettacoli di marionette, rivela l’attitudine ceca a sentire l’esistenza come una rappresentazione, una veloce trama di fatti e azioni, che trova conforto nel potere dell’immaginazione e dell’arte, per sfidare l’ineluttabilità del destino e prendersene gioco. Così, ecco Stairs, di Magdalena Jetelová, la scala in legno, ad alti gradini, che si apre come un ventaglio per raggiungere un soffitto che la comprime o i Minima Babies, in bronzo, di David Černý, collocati nel parco, giganteschi infanti dal viso deforme. Nei lavori sono compresenti, spesso, Espressionismo, Surrealismo, Pop Art, Minimal Art, Arte Concettuale: questa commistione di correnti e generi rappresenta un virtuosistico inno alla libertà espressiva. Oltre quarant’anni di piede straniero sul cuore hanno fatto esplodere una creatività trasgressiva di altissima tensione, volta alla provocazione rivoluzionaria, alla ribellione e alla denuncia delle violenze, delle deportazioni, delle esecuzioni.
Rilevante è il numero delle artiste rappresentate: la sensibilità femminile ha saputo interpretare le contraddizioni dell’umanità, i suoi drammi, con grande rigore intellettuale ed essenzialità estetica.
Il Museo è manifesta testimonianza dello spirito patriottico e della passione per l’arte di Meda e Jan Mládek. Entrambi di origine ceca, ma residenti negli Stati Uniti, si adoperarono per tutta la vita a collezionare le opere dei loro compatrioti, convinti che l’identità culturale ceca si sarebbe potuta salvare attraverso la valorizzazione della sua espressione e con essa lo spirito nazionale e, quindi, la nazione stessa. Come mecenati, attivi soprattutto dagli anni Sessanta, raccolsero una vitale documentazione di fervore creativo, sconosciuta agli stessi cechi a causa del regime comunista. Anche all’estero sembrava impossibile che una Nazione, così isolata e privata della libertà, potesse produrre un’arte di tale livello. Essi acquistarono, attraverso i viaggi nell’Europa centrale, sculture, pitture, disegni, aiutando gli artisti dissidenti che erano perseguitati o esiliati.
Meda Mládek, nata a Zákupy, nella Boemia del Nord, aveva studiato Economia a Ginevra e, poi, proseguito gli studi, a Parigi, alla Sorbona, seguendo i corsi di Storia dell’Arte. Aveva, anche, fondato la Casa Editrice Sokolova, debuttando con un libro di André Breton sul pittore ceco Toyen, seguito da un volume di versi di Ivan Blatný. Il marito Jan, che aveva incontrato nel 1953, era nato in Polonia e aveva studiato filosofia a Parigi con Bergson ed Economia a Londra con Keynes. Egli divenne Governatore del Fondo Monetario Internazionale dopo aver lavorato per l’attuazione del Piano Marshall.
I coniugi, stabilitisi a Washington nel 1960, diedero inizio al loro progetto, acquistando una piccola pittura di Kupka. “Le pitture degli artisti erano collocate in ogni parte della casa e anche nell’ufficio di mio marito: esse ci donavano il senso della patria alla quale non potevamo più ritornare.”* Dopo la morte di Jan, Meda decise di adempire ad un suo desiderio, offrendo la collezione alla Città di Praga e acquistando il Mulino Sova, in disuso, come sede espositiva. Le trattative durarono più di dieci anni:“È stato, realmente, un grande sforzo per anni. Dovevo affrontare problemi dopo problemi perché essa era una splendida area: ognuno desiderava ottenerne un hotel o un palazzo per appartamenti e così via… Io incominciai a lottare, a battermi per essa. Nessuno credeva che avrei potuto farcela, soprattutto perché ero una donna che veniva dall’America: ciò era inaccettabile. Ma io vi riuscì e rimasero tutti sbalorditi.”*
Il Museo dispone, così, di una ricca raccolta d’arte contemporanea ceca, slovacca, polacca, ungherese e dell’ex Jugoslavia, con esponenti di spicco come Magdalena Abakanowicz, Karel Malich, Karel Nepraš, Jiri Naceradsky, Vera Janouskovà; presenta, inoltre, in permanenza, le opere dei due più grandi artisti cechi della prima metà del Novecento: il pittore astratto František Kupka e lo scultore cubista Otto Gutfreund.
Una sezione è dedicata ad esposizioni temporanee: attualmente, sono allestite le retrospettive di Max Beckmann e del Gruppo Cobra.
Attraverso sempre nuove donazioni, il Museo rappresenta, ora, un riferimento importante per le avanguardie artistiche di Praga.
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Silvia Venuti
D’ARS year 49/nr 199/year 2009