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Moda fra Tecnologia e Umanesimo

La tecnologia sta influenzando sempre di più il design e la produzione dell’abbigliamento, anche quello di alta gamma. Parallelamente la creatività trova un nuovo fondamento nella cultura socio-umanistica e nelle sue metodologie.

Sono due aspetti interdipendenti di una moda che mette al centro l’Uomo in senso Rinascimentale. Il “contenuto” non è mai stato così importante.

Austin skyline – SXSW Conference &Festivals – ph. By Chris DeWitt, courtesy of SXSW
Austin skyline – SXSW Conference &Festivals – ph. By Chris DeWitt, courtesy of SXSW

Si è svolta da pochi giorni l’edizione 2018 del Festival South by Southwest di Austin (SXSW), evento che affianca a una densa line up di concerti e film conferenze e mostre dedicate alle tecnologie digitali emergenti. Uno dei temi affrontati ha riguardato le implicazioni dell’Intelligenza Artificiale (AI) sul design, moda compresa.

Con applicazioni come Finery (che registra gli acquisti on line e li gestisce in un armadio virtuale proponendo dei look) o Savitude – presentata appunto al SXSW e che usa l’AI per suggerire l’abbigliamento in base alle proporzioni di un acquirente – si entra ormai in un territorio potenzialmente conflittuale per i creativi del settore.

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Molti infatti considerano ancora i processi dell’AI come troppo meccanici per rendere lo spirito inventivo della moda, e quindi sono incerti al riguardo. Molti designers rischiano di lavorare in maniera “difensiva”, fronteggiando dati commerciali derivanti dall’elaborazione dei “big data” che, se usati in modo miope, difficilmente autorizzano le directions più fantasiose o, semplicemente, non testate alla vendita.

La creatività è una capacità cognitiva che lavora per suggestioni e associazioni, spesso apparentemente illogiche e astratte, ma in realtà l’analisi dei dati e l’intelligenza artificiale possono servire a trovare nuovi sbocchi e a superare barriere tecniche. La moda d’altronde è sempre stata un’industria frutto di collaborazioni, a partire dalle mani di sarte e modelliste che creano i primi prototipi – e sono anch’esse una forma di “tecnologia” applicata a un’idea –  quindi perché avere paura di ulteriori strumenti?

Sicuramente non ha paura della tecnologia Demna Gvasalia, direttore artistico di Balenciaga, oltre che volto del marchio Vetements. La recente collezione donna A/I 2018 ha riannodato i fili con le storiche sperimentazioni della maison sulla silhouette, portando in passerella giacche dalle anche arrotondate (che negli anni ’40 sostenute da imbottiture) di derivazione digitale. Per realizzare queste forme, Gvasalia ha scansionato i corpi delle modelle in 3D, ha elaborato le parti con un programma CAD e le ha stampate in 3D, in una schiuma leggera a cui erano legati i tweed o il velluto. “La parte sartoriale è tutta stampata“, ha spiegato a Vogue, “Ci sono solo due cuciture sul lato e il foro del braccio. Non ci sono freccette, non c’è costruzione, ed è solo uno strato di tessuto.

Questo tipo di operazione non ha nulla che vedere con quanto già realizzato dall’industria dell’abbigliamento active o con le sperimentazioni di capi unici in polimeri estrusi. Il legame intrinseco della schiuma con la materia tipica della sartoria (lane pregiate o motivi come i Galles che mantengono inalterato il disegno pur nella deformazione del volume) rende possibili dei capi che nella realizzazione industriale raggiungono un virtuosismo da Alta Moda.

La tecnologia ha permesso di rielaborare l’essenza di Cristóbal Balenciaga: volume e innovazione. Dagli storici vestiti a bozzolo o a sacco ai fianchi “deformati” di oggi in un bilanciamento fra il rispetto per l’archivio e lo scardinamento delle regole che ha fatto salire le vendite.

Più o meno contemporaneamente anche Gucci ha fatto uso della tecnica di stampa in 3D, ma in senso comunicazionale: un paio di modelli hanno sfilato con la riproduzione della propria testa – stampata appunto in 3D – per la presentazione della collezione Cyborg che ha celebrato l’ibrido in tutte le sue forme. Il cyborg diventa l’unica via per definire una nuova identità, estetica e non, in opposizione a neo conservatorismi di tutti i generi.

“Il Cyborg è una creatura paradossale che tiene insieme natura e cultura, maschile e femminile, normale e alieno, psiche e materia. Il Cyborg Gucci è post-umano: ha occhi che compaiono sulle mani, corna da fauno, cuccioli di draghi e teste che si sdoppiano. È una creatura biologicamente indeterminata e culturalmente consapevole. Il segno ultimo ed estremo di una identità meticcia in trasformazione. Il simbolo di una possibilità emancipatoria attraverso cui possiamo decidere di diventare ciò che siamo”.

In questo breve estratto dalla cartella stampa compaiono le parole “cultura” e “culturalmente”, e non è un caso. La costruzione di quello che si è imposto all’attenzione come il “pluriverso Gucci” non può prescindere da riferimenti allargati e inclusivi che comprendono diversi continenti, tradizioni e secoli, e nel quale i riferimenti a Walter Benjamin e Roland Barthes si mescolano all’iconografia disneyana.

Il pluriverso di ispirazioni dall’official account Instagram di Alessandro Michele - @lallo25, moda
Il pluriverso di ispirazioni dall’official account Instagram di Alessandro Michele – @lallo25

Questo enorme cumulo di elementi alla base del design del direttore artistico Alessandro Michele può produrre un certo disorientamento in chi guarda (al di là del gioco del riconoscimento delle citazioni), ma delinea essenzialmente una concezione di stampo umanistico, inclusiva e libertaria, e una rivendicazione dell’umanità qualunque essa sia contro un sistema di codici nei quali anche la moda è inserita, per lo meno quando propone abiti che incarnano un’identità predefinita. Questo è forse da sempre uno dei cardini della moda, ma non è detto che non si possa andare oltre.

L’universo plurimo disegnato – letteralmente – da Michele, più che nell’attualità sembra trovare una rappresentazione in Sense8, serie tv di Netflix molto amata ma destinata a una fine precoce a causa dei costi elevati. Ideata e diretta da Lana e Lilly Wachovski, Sense8 è focalizzata sull’evoluzione degli individui e sull’empatia, prendendo come esempio otto persone – diverse per cultura, ambiente, orientamento sessuale, fede religiosa, nazionalità, professione – in grado di abbattere tutte le barriere fisiche, mentali e culturali per il raggiungimento di uno stato di interconnessione completa.

Gucci | Fall Winter 2018/2019 by Alessandro Michele, dettaglio, screenshot dal video della sfilata
Gucci | Fall Winter 2018/2019 by Alessandro Michele, dettaglio, screenshot dal video della sfilata

Alessandro Michele cita Donna J.Haraway, che nel Manifesto Cyborg (di nuovo in uscita per Feltrinelli – aprile 2018) mette in luce come il pensiero occidentale sia da sempre caratterizzato da un concetto binario, in cui le opposizioni uomo/donna, mente/corpo, eccetera sono da sempre funzionali alle pratiche del dominio: sulle donne, sulla gente di colore, sulla natura, sui lavoratori, sugli animali.

Il cyborg quindi – nell’estetica Gucci – è una metafora di ciò che vogliamo essere se ci svincoliamo da modelli identificanti e imposti. Anche – o forse soprattutto – in anni in cui gli egoismi, le chiusure, i nazionalismi e lo sfruttamento della parte ricca sulla parte povera del mondo sembrano dilagare e lasciare poco spazio ad esigenze identitarie.
Ma le cose si evolvono nonostante i condizionamenti sociali, e le crisi innescano spesso grandi cambiamenti aprendo la strada a un umanesimo che nell’ibridazione con le macchine trova una nuova genesi. Per ora le vendite stratosferiche del nuovo corso di Gucci sembrano accogliere in pieno questo messaggio.

Claudia Vanti

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