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Milano film festival 2013. Corsa e ri(n)corsa: Run&Jump di Steph Green

Al Piccolo Teatro Strehler domenica 15 settembre si è chiusa la 18ima edizione del Milano Film Festival, l’appuntamento cinefilo della rentrèe milanese. I direttori artistici Vincenzo Rossini e Alessandro Beretta l’avevano inaugurata dieci giorni prima ricordando le fatiche con cui sono riusciti a completare il palinsesto e a organizzare gli eventi collaterali, decisamente ridotti rispetto lo scorso anno; la vena polemica dell’inaugurazione 2012 (dove c’era stato un caustico botta e risposta con alcuni quotidiani locali) ha assunto il tono della constatazione impotente: non è (ancora) cambiato nulla e battersi per uno stato di Cultura in questo Stato è roba da folli. Una silente accettazione e un abbandono del campo di battaglia? Scoraggiante, a mio parere. Proprio sotto il tetto del Piccolo Teatro (all’epoca il Piccolo Grassi e non lo Strehler) nel lontano secondo dopoguerra, alcuni attivisti della cultura (Paolo Grassi e Giorgio Strheler) avevano dato vita ad uno dei teatri più dinamici e innovativi della scena culturale italiana con pochi fondi e pochi mezzi e ciò a dimostrazione che la cultura non avrebbe mai dovuto mollare le armi né abbandonare il campo di battaglia. (video di inaugurazione)

Steph Green – Run & Jump. Milano Film Festival 2013
Steph Green – Run & Jump. Milano Film Festival 2013

Al saluto dei due direttori è seguito un film come pochi se ne sono visti al cinema nel 2013: Run&Jump di Steph Green (trailer). Dalla selezione ufficiale del Tribeca Film Festival, Run&Jump è una storia tanto semplice quanto complessa, ironica quanto drammatica che racconta la vicenda di una famiglia irlandese che deve ricostruire un proprio equilibrio dopo che il marito e padre Conor ha avuto un ictus e che, rientrato in famiglia, è come un alieno capitombolato sulla terra. Ricordate Little Miss Sunshine? Lo stile del racconto, le atmosfere e la musica che le riempiono non gli sono molto distanti; è un film indipendente, perfettamente adeguato al mood del Milano Film Festival, ma capace di parlare ad un pubblico più ampio come lo era stato Little Miss Sunshine. Non è raro che le opere del MFF siano autoreferenziali e che i film proposti esauriscano lì la loro vita, ma quest’anno c’ è stata maggiore apertura ad opere estroverse. La riuscita dell’opera di Steph Green risiede soprattutto nella bravura degli attori (quasi tutti provenienti dalla tv e dal teatro) capaci di incarnare dei personaggi a tutto tondo con i quali immedesimarsi: Vanetia è la mamma energica che, come Atalante, sorregge il mondo famigliare: non ci fosse lei, nessuno avrebbe il proprio posto.

Steph Green – Run & Jump. Milano Film Festival 2013
Steph Green – Run & Jump. Milano Film Festival 2013

Conor è il simbolo del cambiamento, l’uomo che è stato costretto ad assumere un’altra identità cui è difficile relazionarsi; la piccola Susan è a metà tra l’ingenuità della fanciullezza e la follia del genio in contrapposizione alla rigidità del fratello Lanny, adolescente problematico alle prese con il ritagliarsi un proprio spazio nel mondo. L’elemento che permette al plot di procedere è rappresentato dallo scienziato Ted, il ricercatore di psichiatria che trascorre tre mesi in casa di Vanetia e Conor per studiare l’evolversi della riabilitazione di Conor e che, come scienziato, è maggiormente a suo agio ad affrontare i problemi del cervello che non quelli del cuore. Il film viaggia su questo duplice binario oscillando tra i ragionamenti a lucido dettati dalla ragione e le azioni / reazioni emotive, i primi incarnati dallo scienziato Ted e i secondi da Vanetia.

Steph Green – Run & Jump. Milano Film Festival 2013
Steph Green – Run & Jump. Milano Film Festival 2013

La parabola del cambiamento segue il loro rapporto mostrando come sia sempre più necessario destreggiarsi su entrambi i lati quasi a sostenere la tesi pascaliana che “il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”. A tratti un po’ semplicista, il film trasmette positività e lascia emozioni  che spesso non ricordiamo di poter ancora provare: non avere paura di provarle è un primo passo per cambiare la prospettiva con cui affrontare il campo di battaglia, spesso, sempre uguale. (e.c.)

Elena Cappelletti

 

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