Al settimo appuntamento ambrosiano di MIA Photo Fair vi proponiamo un focus sui lavori di tre fotografi: Paolo Meoni, Niccolò Aiazzi e Antoine Rose.
Tra il 10 e il 13 marzo si è tenuta a Milano la settima edizione del MIA Photo Fair. Si tratta di una fiera di fotografia che, partita in modo un po’ stentato, sta conoscendo un’importante fase di crescita in termini di pubblico ma anche e soprattutto in termini di qualità della proposta delle gallerie presenti.
Al di là di un focus su tre aree geografiche precise (Brasile, Asturie e Ungheria) l’edizione di quest’anno non è stata caratterizzata dalla prevalenza di una tematica specifica: un cocktail di paesaggio (urbano e naturalistico), ritratto e astrazione del quale si segnalano tre “ingredienti”.
Paolo Meoni indirizza la propria ricerca verso un’astrazione che si incanala in due direzioni. Da un lato la natura in divenire della pellicola ancora da sviluppare in cui l’immagine è latente e il negativo, nel suo cristallizzare l’istante, diventa depositario e si fa messaggero della memoria della visione. Dall’altro, verso una dimensione parallela in cui sembra echeggiare quella ricerca di rappresentazione del vuoto che spinse a inizio secolo scorso il signor Malevič a indagare il terreno della rappresentazione non formale. “Stargate” di accesso a questa meta-fotografia è lo scanner, la cui luce artificiale funge da ponte tra la percezione diretta e la realtà – ultima – delle cose. E nei lavori più recenti presentati in fiera, ecco intervenire una pennellata che, simile a una breccia, potrebbe permettere uno sconfinamento tra le due dimensioni.
L’obiettivo di Niccolò Aiazzi è focalizzato sulla dimensione poetica del paesaggio montano. Al lirismo sotteso alla dimensione ovattata della neve che, nel suo ammantare le superfici, trasfigura la percezione della realtà nel farsi occasione di contemplazione meditativa, fa da contraltare il reportage alpinistico che, nel suo testimoniare la stagliante potenza della natura, assurge a una sorta di memento mori per un’umanità troppo spesso dimentica dei propri limiti. Gli scatti di Aiazzi ci ricordano come il rapporto tra l’uomo e la natura sia chiave per la comprensione del ruolo di ognuno all’interno di una società spesso incapace di fermarsi a riflettere perché distolta dalle occupazioni di ogni giorno.
Anche Antoine Rose incentra la propria produzione sull’insignificanza dell’uomo nel suo rapportarsi all’universo. Attraverso una tecnica rocambolesca che lo spinge a effettuare gli scatti sporgendosi da elicotteri in quota, il fotografo belga illustra con visioni aeree assembramenti di persone sulle spiagge o sulle piste da sci. La dimensione del singolo individuo scompare dando vita a composizioni artistiche che ricordano le astrazioni dell’ultimo Kandinsky.
L’assenza del cielo contribuisce a conferire alle sue immagini una connotazione straniante e nel contempo onirica in cui la percezione visiva assurge a consapevolezza della nostra incapacità di cogliere l’essenza delle cose.
Danilo JON SCOTTA