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Maxim Kantor. Vulcano

Nell’iconografia di Maxim Kantor, il vulcano è il simbolo geologico – per così dire – del destino della società moderna, oggi più che mai sull’orlo dell’eruzione. Società di cui Kantor, da anni, ritrae gli abitanti e gli eventi, come nel recente portfolio di litografie Vulcanus. Atlas, che racconta, in 71 vignette satiriche, la storia politica, sociale e culturale dell’Unione Sovietica, prima, e della Federazione Russa, poi. Le guerre mondiali, la rivoluzione bolscevica, la contrapposizione USA-URRS, la perestrojka, la destalinizzazione – fenomeni non solo russi, ma anche europei e mondiali – vi sono ritratte con sprezzante ironia, così come i loro personaggi-simbolo, ridotti a grottesche macchiette.

Maxim Kantor, La Torre di Babele (2008), olio su tela. Collezione privata, Germania

Se l’influsso dei Capricci di Goya e delle caricature di Honoré Daumier è dichiarato dallo stesso Kantor, il parallelo più appropriato è però forse con le pitture e le grafiche degli artisti della Neue Sachlichkeit, che nella Weimar degli anni Venti ritrassero con spietato realismo i veterani della Grande Guerra e simmetricamente, con grande lungimiranza, i nazionalsocialisti che stavano per salire al potere. In modo particolare, i modelli sono Otto Dix – di cui si ritrovano, qua e là, Il venditore di fiammiferi, I giocatori di skat, i reduci di Prager Strasse – e George Grosz – I pilastri della società, ma anche le serie di incisioni satiriche. Non mancano le critiche al mondo dell’arte e al declino della forza rivoluzionaria dell’avanguardia: mentre i rappresentanti dell’intellighenzia russa si raccolgono attorno al Quadrato nero di Malevich e gli intellettuali occidentali si schierano dietro la fontana-orinatoio di Duchamp, Kantor se ne sta seduto a disegnare le caricature di Lenin e Putin.

Maxim Kantor, La società aperta (2002), olio su tela, cm 255×270. Collezione dell’autore

Nelle grandi tele esposte assieme all’atlante del vulcano, il modello diventano piuttosto le distorte e affollate pitture di Max Beckmann, che della Nuova Oggettività rappresentava l’anima espressionista e visionaria. La tavolozza violenta, i colori acidi, la deformazione delle anatomie, ne fanno dei dipinti potenti, di grande efficacia visiva ed emotiva. C’è anche, in queste tele, un non so che di dantesco. Uomini e donne, stipati in una sala d’attesa, pigiati ai lati di una passerella, stretti in una coda a spirale, smunti ed emaciati, paiono i dannati d’un girone infernale. Visione che ha il suo culmine nella Torre di Babele (2008), che con un occhio a quella cinquecentesca di Pieter Brueghel il Vecchio, Kantor trasforma in un ibrido tra un vulcano, un razzo e un grattacielo in cui entrano file di uomini-dannati, destinato a crollare come la mitica costruzione descritta nella Genesi.

Maxim Kantor, L’intellighenzia russa. Tutto finisce col quadrato nero (2010), cm 90×60. Tavola 8 della serie Vulcanus. Atlas (2010), 71 litografie e matite colorate

Le 71 tavole di Vulcanus. Atlas sono visionabili sul sito ufficiale dell’artista www.maximkantor.com e su quello della galleria Nierendorf di Berlino, che le ha esposte nel 2011 e ne offre ora un’interessante visita virtuale.

Maxim Kantor. Vulcano
a cura di Alexandr Borovsky e Cristina Barbano
26 ottobre – 6 gennaio 2013
Fondazione Stelline
Corso Magenta 61, Milano

Stefano Ferrari

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