Dopo alcuni lavori di ristrutturazione il Palais de Tokyo a Parigi è stato riaperto al pubblico lo scorso aprile ospitando la terza Triennale dal titolo Intense Proximité sotto la direzione artistica di Okwui Enwezor. Con una superficie quasi triplicata, a dieci anni di distanza dalla sua inaugurazione ufficiale come “Site de création contemporaine”, questo spazio di sperimentazione cerca di rimanere fedele allo spirito dei due fondatori Jérôme Sans e Nicolas Bourriaud mentre diventa il più grande centro europeo dedicato all’arte contemporanea. Orgoglioso della sua identità di anti-museo, persiste nel rifiutare qualsiasi tipo di collezione permanente nel nome della propria autonomia e pluralità, senza temere di auto-definirsi “une utopie en marche”. Forte di una posizione istituzionale che ha continuato a crescere nel tempo (non senza polemiche), punto d’attrazione per sponsor prestigiosi e finanziatori indipendenti, il Palais de Tokyo si è trasformato in una struttura interattiva nel senso più esteso del termine: una macchina celibe, mutante, ossessionata dall’idea di reinventarsi senza tradire la propria identità.
Il tema della stagione corrente (che si concluderà a febbraio 2013) è “Imaginez l’imaginaire”. Attraverso una serie di esposizioni, eventi, incontri l’attenzione è rivolta al processo creativo, ai suoi meccanismi originari, affiancando diverse generazioni di artisti ed esplorando molteplici declinazioni curatoriali. Accanto a nomi di profilo internazionale vengono invitati anche giovani curatori, ci sono spazi per “reagire” quasi in tempo reale alle vicende dell’attualità, si attraversano i confini tra discipline e forme di conoscenza differenti. Una delle mostre personali di questo ciclo è Matières Premières di Fabrice Hyber che nel 1997, all’età di 36 anni, ricevette il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia per aver trasformato il padiglione francese in una sorta di studio di trasmissione televisiva invitando anche altri artisti a realizzare performance in diretta. Da sempre affascinato dall’incrocio fra pratiche artistiche, produzione industriale e distribuzione commerciale, nel 1994 Hyber fonda un’azienda propria – la UR (Unlimited Responsibility) – con la quale portare avanti numerosi progetti di collaborazione spostando sempre più l’accento sul pubblico, sulle possibilità mediatiche (e non) di interazione. Vicino a forme di ricerca processuali e comportamentali che Bourriaud definirà con il termine di estetica relazionale, ha riversato la sua energia creativa in una produzione rizomatica, instancabile, per non dire compulsiva di oggetti (i POF – prototipi di oggetti in funzionamento), sculture (come l’Homme de Bessines), installazioni, disegni, ceramiche, monumenti di arte pubblica fino a cimentarsi anche in ambito coreografico. Questa ossessione imprenditoriale per il “fare” gli ha permesso di concretizzare progetti su larga scala come quello che coinvolge la valle della sua infanzia, presso Luçon, dove nel corso di oltre dieci anni ha fatto piantare più di 70.000 alberi di specie diverse. Attraverso le sue opere si origina un surplus, non di tipo economico, bensì un eccesso materiale e simbolico simile a quello prodotto dallo scambio di doni presso le tribù.
Nella mostra al Palais de Tokyo, curata da Akiko Miki, l’artista francese propone una riflessione sui materiali e il potere metamorfico dell’arte: “per me un’opera è l’inizio di una frase incompleta…”. Concepita come una sorta di “SPA mentale”, non ha sviluppo lineare ma consiste in una proliferazione di forme aperte, di operazioni post-dadaiste che catturano lo spettatore, decostruendo paesaggi e oggetti per arrivare al legame diretto con la natura, con i suoi a-priori atomistici sempre in movimento. L’accento è posto sulla capacità “curativa” dell’arte che può riconciliarci con la natura e con noi stessi. Ci sono tre stanze/stazioni dove si ritrovano anche produzioni storiche, un mix di site specific e retrospettiva (disseminata contemporaneamente in altri spazi espositivi[i]) densi di referenze. Si può scegliere il percorso attivo a basso, dove la mostra equivale a uno spazio vivente quasi parassitario, oppure quello contemplativo rialzato dove ci appare come un paesaggio paradossale.
Con Les lignes si entra in una scena di campagna al contrario, per cui la biancheria stesa al vento rivela uno scambio tra dentro e fuori dove la casa, non più concepita come approdo sicuro, diventa nomadica. Il MIT-Man è una scultura nata dalla collaborazione con Robert Langer (professore al MIT in Massachusetts) presso l’Istituto Pasteur nel 2006, composta da cibi che fanno bene e che lentamente si decompongono sotto i nostri occhi. Anche la Cage Mangeable è una gabbia precaria, fatta di elementi commestibili, dalla quale gli uccelli prima o poi potranno scappare. Entrando, invece, ne La maison des vents si può sperimentare la forza di una tempesta dove la presenza dell’aria, altro elemento fondamentale per la creazione, è spinta fino al parossismo.
La componente “work in progress” viene sviluppata anche lungo una dimensione storico-temporale. In occasione dei mondiali di calcio in Francia nel 1998, Hyber aveva progettato un pallone promozionale a forma di cubo, un POF testato in numerose esposizioni a partire dalle quali sono state definite delle regole precise e persino un campo specifico. Il tutto è stato ricostruito nell’ultima sala con un’installazione inedita nella quale il pubblico si trova in mezzo, su una sorta di piramide e lancia uno sguardo a 360° sul terreno di gioco. Una serie di video mostra i momenti salienti di questo sport “mutante”, testimoniando come da un semplice scarto della norma possano scaturire altri mondi paralleli e, non per questo, meno reali.
Clara Carpanini
D’ARS year 52/nr 212/winter 2012
[i] In contemporanea alla Fondation Maeght è in corso la retrospettiva dei suoi quadri omeopatici Essentiel (Peintures Homéopathiques), al Mac-Val la mostra Prototypes d’Objets en Fonctionnement, dedicata appunto ai POF e presso l’Institut Pasteur in collaborazione con la Manufacture de Sèvres sono visibili le sue ceramiche.