La creatività che si esprime attraverso la moda non è un flusso lineare e continuo: unico settore nel quale il risultato estetico è sempre legittimato dal buon esito commerciale, è anche costantemente influenzata da fattori esterni di tipo economico e socio-politico.
Questo fa sì che la moda, che è lo specchio più immediato e reale del tempo che attraversa, non possa mai sospendere le sue trasformazioni e il lavoro creativo che ne è alla base, ma questo avviene più per scosse e picchi che per progressione. A seconda dei momenti, più o meno felici dal punto di vista economico, proposte creative piuttosto estreme e concettuali possono trovare il sostegno dell’industria, come è successo alla fine degli anni ’90, che hanno visto sia una spinta molto forte al lusso sia l’affermazione di creativi di scuola inglese o belga che si distinguevano per la rielaborazione delle forme, rimodellando e interpretando le classiche strutture sartoriali e modificando la fruizione dei capi.
Ora, in un periodo di post crisi economica particolarmente pesante, pure se il mercato del lusso non si è mai fermato, gli investimenti dei brands sembrano puntare a scelte creative più rassicuranti, e a proposte di facile interpretazione da parte di una clientela meno disposta a rischiare.
Ed è proprio in momenti come questi però che avvengono piccoli e significativi terremoti, alcuni destinati a influenzare il sistema moda nel suo complesso, altri a rimanere confinati in una nicchia, ma comunque sintomatici.
Da un anno o poco più il nome che ha creato la maggiore frattura nel modo di concepire le collezioni non è quello di uno dei direttori artistici (amati, inseguiti, licenziati, in fuga) che hanno riempito le cronache di settore: Simons, Michele e Slimane rappresentano evoluzioni importanti nel gusto dei consumatori, ma è il collettivo Vetements che sperimenta nei fatti una nuova modalità nella creazione.
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Claudia Vanti
D’ARS anno 56/n. 223/estate 2016 (incipit dell’articolo)