È uscito per Feltrinelli Real Cinema (dvd+libro) il documentario presentato al Sundance Festival e premiato alla Berlinale, Marina Abramovic: The artist is present, di Matthew Akers. Se proprio ne avvertissimo la necessità, si potrebbe “definire” film, documentario, performance della performance, videotestamento artistico e molto altro, ma come tutte le opere complesse Marina Abramovic: The artist is present sfugge a ogni tentativo di circoscrizione. Certo è che si tratta di un ennesimo atto di coraggio, un ulteriore mettersi a nudo dell’artista e del suo incedere. Fondamentale per chi volesse approfondire, comprendere, immergersi nell’universo di una protagonista dell’arte contemporanea che da quarant’anni si mette in gioco in modo radicale, assistendo così a uno di quei “felici matrimoni tra etica ed estetica” di cui parlava Pierre Restany a proposito di Yves Klein, altro artista che come Marina celebrava fortemente l’identità arte/vita, al punto tale da smaterializzare l’oggetto d’arte in pura energia da liberare nel cosmo, in una delle più ampie e poetiche forme di condivisione.
Marina Abramovic: The artist is present ci accompagna in tutte le fasi (dal sopralluogo, ai momenti fuori dal museo, fino alla reale esecuzione) di quella che può essere considerata la tappa più importante della vita di Marina Abramovic: la personale al MoMA di New York, avvenuta dal 14 marzo al 31 maggio 2010, durante tutta la durata della quale l’artista stava immobile, in silenzio, seduta davanti a un tavolo per molte ore al giorno, a incontrare gli sguardi del pubblico, che quasi come in un solenne rituale pagano, le si avvicinava lentamente e le si sedeva di fronte, per tutto il tempo che riteneva necessario. Il film documenta e fissa molti di questi momenti straordinari in cui lo zoom delle telecamereè puntato sugli occhi di Marina e su quelli del suo interlocutore. Un dialogo silenzioso e commovente che non lascia mai indifferenti. Il campo di energia che si genera da’ luogo a momenti d’intensa commozione; l’artista e il suo pubblico fanno dono di sé, senza riconoscerlo e senza riconoscersi donatori o donatari; un dono che, in quanto evento di un contatto estraneo a qualsiasi legame di coscienza, non si manifesta, un accadimento altro dalle relazioni consolidate e veicolante i flussi che lo costituiscono. Marina ti osserva costringendoti a osservarti. Non vi è alcun “narcisismo di ritorno” ma diverse forme di insight che toccano corde poco abituate e vibrare.
Uno dei momenti più intensi del film è quando Ulay, compagno di vita e di arte della Abramovic per dodici anni, (invitato alla retrospettiva come ospite d’onore) decide ad insaputa dell’artista di partecipare alla performance, come ai tempi di Nightsea crossing (performance svolta negli anni 1981-1987, nella quale, in coppia con Ulay stavano seduti, l’uno di fronte all’altro, immobili, alle due estremità di un tavolo per sette ore consecutive). Lei alza gli occhi e lo vede, le lacrime scorrono copiose: sono lacrime vere, è la loro “riunione” dopo la separazione e la sofferenza. Abramovic fa un’eccezione alle rigide regole della performance, allunga le mani fino a toccare quelle dell’ex, è il “momento di verità” nell’opera, quella scintilla in cui l’umano e il poeta si identificano, superando l’autobiografismo in un gesto di catarsi collettiva.
È l’artista stessa a dichiarare: quello che posso dire è che questa performance mi ha cambiata a livello profondo; per me può solo avvenire che il mio lavoro cambi la mia vita e non l’opposto. (…) l’aspetto interessante della situazione è che il pubblico osserva se stesso e l’osservatore diventa osservato (…) dobbiamo esplorare altri modi di comunicare (in Dr. Abramovic, a cura di Francesca Baiardi, pp. 96, allegato al dvd Marina Abramovic: The artist is present, 2012, Feltrinelli Real Cinema
Sostanzialmente Marina agisce “per forza di levare”: niente scenografia, niente allestimento, niente oggetti alle pareti, fino alla scarnificazione della rappresentazione, fino alla sola “presenza”. L’arte “presentata” e non “rappresentata”. L’artista si fa opera d’arte totale e in questo, che è ovviamente un processo e non un sistema chiuso, include il pubblico, include l’altro perché altrimenti la sua opera sarebbe in-esistente.
Riflettendo sulla valenza simbolica di The artist is present emerge il riferimento a Nietzsche e alla sua Nascita della tragedia: nel libro allegato al dvd* si trova un passaggio fondamentale di Artur C. Danto, autore di uno dei testi critici nel catalogo della mostra al MOMA: attraverso questo allestimento, Marina avrà inavvertitamente ricreato la scena primordiale descritta da Nietzsche nella Nascita della tragedia, dove un membro di un gruppo è posseduto e diventa un eroe, trasformando così tutti gli altri in un coro.
Le parole di Nietzsche stesso nel libro citato confermano la pertinenza di tale riflessione: (…) nulla è più sicuro del fatto che il poeta è tale solo quando è attorniato da persone che vivono e agiscono davanti a lui e delle quali egli scruta l’intimo essere. E ancora: Per il vero poeta la metafora non è una figura retorica, bensì un’immagine sostitutiva che gli si presenta realmente, al posto di un concetto. (…) basta avere la capacità di restare in continua osservazione di un gioco vivente e di vivere costantemente attorniati da schiere di spiriti: ecco come si è poeti. Basta avvertire lo stimolo a trasformare se stessi e a parlare attraverso altri corpi e altre anime. Così si è drammaturghi.
Così si è presenti.
cristinatrivellin