Gli artisti fanno i conti con la realtà e distinguere reale e virtuale è un esercizio ormai retorico e stantio che a nulla serve per capire in che mondo viviamo. Alla fine la realtà è da sempre quella che si configura attraverso ordini di discorso culturali e tecnologici, quindi risulta imprescindibile fare i conti, appunto, con i luoghi stratificati che oggi sono gli effettivi palcoscenici di azioni e relazioni.
Vivere un esperienza in un videogioco non la rende meno reale che viverla per strada, è solo sul piano delle differenze che si può discutere.
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L’orizzonte degli ambienti videoludici ha introdotto l’interazione all’interno della rappresentazione prima ancora dei social network e l’arte non è stata a guardare. Non si sottrae alla riflessione Marco Mendeni che con i suoi video esplora ambientazioni tridimensionali realizzate con software per creare videogiochi. Ferma il gioco e impone una “contemplazione”. Svuota i contesti dalle azioni di gioco per i quali sono nati, ne definisce pattern e risultati grafici, toglie la possibilità di interazione e chiede di osservare e ascoltare il suo documentario sul familiare virtuale. Con il video si ritorna alla rappresentazione e alla relativa ri-creazione tipica dell’arte (quel fare che è poetica) dell’esperienza e degli elementi che la determinano.
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Per questo c’è anche il ritorno alla materia, fino alla forma del quadro nel quale uno strato di gesso fa da base per l’impressione del laser: ritratti di avatar di videogiochi di ruolo (da DayZ nello spcifico) in simil foto ricordo che immortalano personaggi e oggetti vissuti dai giocatori. Mendeni costruisce testimonianze che imprimono nel mondo fisico esperienze virtuali per attestarne l’esistenza.
![Marco Mendeni, [Wireframe fluid, DayZ, wgooTgleyoitterutube] , digital processing on concrete, Theca Gallery, Milano, 2015](https://www.darsmagazine.it/wp-content/uploads/2015/05/marco.Mendeni_Theca_Milano_1-e1430829539884.jpg)
La mostra alla Theca Gallery di Milano, Marco Mendeni: NO NAME [that’s the way the cookie crumbles] ruota intorno a questa necessità di fare il punto della situazione sull’abitudine all’habitat digitale e alle sue leggi, su come la sua progettualità sia comunemente vissuta come naturale e quasi assoluta, come se anche il caso fosse lasciato libero di intervenire. Ecco dunque una slot machine che ripropone ossessivamente combinazioni insignificanti in prima battuta. L’ironia non manca e aiuta a sviluppare ci si augura, qualche anticorpo in più, qualche strumento utile alla codifica delle nuove patologie sociali.

Chiedi a Google cosa vuoi sapere e la risposta dei suoi algoritmi costruisce la tua percezione del mondo e di ciò che lo abita. E non importa quanto limitati, parziali o determinati siano effettivamente suoi oracoli, il medium è il messaggio e noi siamo già convinti che non esista nient’altro oltre quello che può uscire dalle sue pagine di risultati. Allora per non prendere troppo sul serio anche questo moloch e il funzionamento generale dei suoi simili, prendiamo le barre di navigazione e facciamone dei gadget, dei feticci ingombranti. Diamoceli in testa se serve. L’importante è trovare strategie per colmare divari di ignoranza e arginare esclusioni dalla progettazione degli ambienti che viviamo.
Martina Coletti
Marco Mendeni: NO NAME
[that’s the way the cookie crumbles]
a cura di Roberto Borghi
THECA Gallery – fino al 13 giugno 2015