Siamo arrivati alla fine degli anni ’70 e alla prima regia di un lungometraggio di Miyazaki: Lupin III – Il castello di Cagliostro (1979), pellicola che è valsa al maestro il premio Ōfuji Noburō, importante riconoscimento dedicato al pioniere dell’animazione giapponese scomparso nel 1961.
All’inizio del decennio Miyazaki e Takahata erano stati chiamati a sostituire l’animatore e regista Sugii alla direzione della serie tv Le avventure di Lupin III, di cui vi avevamo parlato qui. Si trattava di una serie innovativa che, come spesso accade, necessita di tempo per essere metabolizzata e capita, così dopo numerose repliche finalmente esplode in un successo travolgente, che dura ancora oggi.
La TMS Entertainment sull’onda del successo commissiona la seconda serie con ben 155 episodi – conosciuta dai più come il Lupin con la giacca rossa – e un primo film Lupin III La pietra della saggezza (1978), con la regia di Sōji Yoshikawa, già animatore di Astro boy (1952-1968) e sceneggiatore di Conan il ragazzo del futuro (1978). Siamo di fronte a un Lupin fedele all’idea del suo creatore, il mangaka Monkey Punch: violento e menefreghista, le sue ambizioni riguardano i gioielli, il denaro e le donne; è affiancato dai due compari Jigen e Gemon e da Fujiko, donna provocante, feroce e manipolatrice. Il film è cruento e dalle atmosfere dark, perfetto per il pubblico di adulti a cui è destinato.
Ma nel 1979 tocca a Miyazaki dirigere il secondo film sul famigerato ladro e questa volta non sarà affiancato da Takahata ma da Otsuka, con cui aveva già lavorato a La grande avventura del piccolo principe Valiant.
Lupin III – Il castello di Cagliostro si apre con la rapina al casinò di Monte Carlo. Durante la fuga Lupin si accorge che il denaro rubato è falso e decide di recarsi dove falsificano le banconote, nel Ducato di Cagliostro. Sulla strada si imbattono in una sposa alla guida di una Citroen 2CV che tenta di fuggire da una banda di criminali. Lupin e Jigen si lanciano al loro inseguimento con la loro Fiat 500 truccata nel tentativo di salvare la ragazza. Scopriranno che si chiama Clarisse e che è una principessa destinata suo malgrado a sposare il malvagio conte Cagliostro, che ambisce attraverso il matrimonio a diventare re ed impossessarsi del tesoro segreto del ducato.
La trama quindi è la più classica di sempre: il salvataggio di una principessa.
Miyazaki non gira semplicemente un film su Lupin, ma decide di dare la sua versione del ladro: romantico, affascinante, buono. I precedenti personaggi maschili di Miyazaki possono essere considerati figli delle idee socialiste del loro creatore, figli delle lotte sindacali e delle proteste degli anni ’70. Qui invece il maestro ci propone un Lupin anarchico, che si muove in punta dei piedi ai margini della storia politica, sia del film che del contesto giapponese di quegli anni, agendo solo in base a ciò che ritiene essere giusto e non con scopi utilitaristici come nel fumetto.
Tutte la caratterizzazioni dei personaggi si ammorbidiscono rispetto alle loro precedenti trattazioni, entrano in scena sentimenti di amicizia, rispetto, giustizia e amore – amore inteso alla maniera di Casablanca (Michael Curtis, 1942). Quella che forse è la più grande delle metamorfosi caratteriali riguarda Fujiko. Il sogno erotico di un’intera generazione è qui castigata da un abito lungo prima e da una tenuta mimetica poi, niente scollature o abitini succinti. È una donna forte e indipendente; in perfetto stile miyazakiano, riesce contemporaneamente ad aiutare i protagonisti e a portare a termine il suo piano individuale. Alla fine del film ci si rende conto che, pur non essendo la protagonista, è il personaggio più forte di tutti: agisce da sola e riesce a manipolare gli eventi in suo favore.
Ma il vero motivo per cui Lupin III – Il castello di Cagliostro è un film fondamentale per il nostro viaggio alla scoperta dello Studio Ghibli è un altro: se Conan il ragazzo del futuro rappresenta il manifesto politico dell’ideologia miyazakiana – come vi abbiamo spiegato qui – questo film ne è il manifesto stilistico. Sono infatti numerosi gli elementi che caratterizzeranno la poetica del maestro: l’attenzione per i dettagli e la fluidità delle scene d’azione, la passione per la meccanica, l’amore per la natura e l’importanza del passato per la costruzione del futuro.
Prendiamo in considerazione la scena dell’inseguimento iniziale: le due auto protagoniste, la Citroen 2CV di Clarisse e la Fiat 500 di Lupin sono rispettivamente le auto personali di Miyazaki e Otsuka. La leggenda narra che i due, per rendere la sequenza più realistica, si cimentarono in una gara con le proprie macchine, ma ovviamente nessuno ha mai confermato questa teoria. Si dice anche che quando il film fu presentato negli Stati Uniti Steven Spielberg rimase colpito da questa scena, tanto da ispirarsi per i futuri Indiana Jones. Ma al di là delle leggende, questa sequenza è l’emblema dell’abilità del maestro nelle scene d’azione, incredibilmente fluide e coinvolgenti.
La terza auto dell’inseguimento è una Humber Super Snipe degli anni ’40, quella dell’ispettore Zenigata, una Nissan Bluebird; i carri della polizia giapponese sono in realtà modelli militari canadesi della seconda guerra mondiale. La barca del conte è ispirata alla Turbinia, la prima nave al mondo a utilizzare una turbina a vapore, inventata nel 1894, e possiamo considerarla il prototipo delle macchine steampunk che Miyazaki disegnerà successivamente. Infine l’autogiro, un ultraleggero col quale Lupin e Zenigata riescono a fuggire dal castello, che ci ricollega a uno dei temi più cari al maestro: il volo, di cui vi parleremo prossimamente con Nausicaa della Valle del vento (1984).
Veramente suggestiva è l’ambientazione: il ducato di Cagliostro è uno strano mix di Alpi italiane, coste francesi e castelli bavaresi. Abbiamo già detto altre volte che proprio grazie al filone dei World Masterpiece Theatre gli anime giapponesi godono di una particolare attenzione ai fondali, ma Miyazaki è davvero insuperabile. Oltre a essere realizzati a mano con grande maestria, in questo film si sposano perfettamente con il ritmo: a velocissime scene di azione si alternano momenti di pausa e riflessione in cui è possibile soffermarsi sui meravigliosi paesaggi cullati dalle musiche jazz di Yuji Ohno. La storia finisce proprio con la veduta su un’antica città romana riemersa dalle acque, il vero tesoro di Cagliostro che non può entrare nelle tasche di Lupin ma che deve essere restituito all’intera umanità.
In Giappone il film non ebbe inizialmente successo, la versione edulcorata e romantica del ladro gentiluomo non era piaciuta neanche al suo creatore Monkey Punch. Come per la serie tv, col tempo Lupin III – Il castello di Cagliostro verrà riconosciuto come il primo capolavoro firmato Hayao Miyazaki, diventando un cult per intere generazioni, tanto da essere ripubblicato costantemente per il mercato dell’home video. Questa pellicola lancerà definitivamente la carriera di Miyazaki portandolo sempre più vicino alla realizzazione del suo obiettivo: la fondazione dello Studio Ghibli.
Claudia Caldara