Durante Mutamorphosys a Praga, convegno a cui abbiamo dedicato diverse pagine nello scorso numero, ho avuto la possibilità di incontrare Laurent Mignonneau – in questa occasione senza la sua compagna, nell’arte e nella vita, Christa Sommerer – e di parlare un po’ con lui. Il duo è considerato tra le figure più interessanti nel panorama artistico contemporaneo. Seduti a un tavolino di fronte a un caffè imbevibile e incandescente, Laurent Mignonneau si racconta, con freschezza e sincerità lasciando impressa nei miei appunti, tradotti in simultanea dal francese all’italiano, la figura di un artista appassionato, atipico, lucido e intelligente. In un paio di ore velocissime, quella che doveva essere un’intervista ha assunto la forma di un singolare racconto.
Il piccolo Laurent a dieci anni si innamora dei suoni: è il suo gioco preferito, sperimentare, produrre ed elaborare suoni, trovarne e studiarne le cause fisiche… senza mezzi e senza soldi, si ingegna. La cosa più sorprendente è che a quell’età va dichiarando che da grande avrebbe fatto l’artista-elettronico, due mestieri che gli pareva straordinario abbinare, mentre i genitori ridacchiavano di questo buffo e allora impensabile accoppiamento.
Siamo nel 1980 e fanno capolino i primi computer, il 2X81. La possibilità di riprodurre il suono digitalmente cambia il mondo della musica. Laurent a 17 anni trasforma il proprio computer in un direttore d’orchestra: si accorge che questo è molto più di un gioco, che è qualcosa di serio, e su questa strada inizia a “programmare” il futuro. Si iscrive alle Belle Arti, si diploma in design, un iter abbastanza classico, visto che le sezioni multimediali delle accademie verranno in seguito. Comunque riesce a seguire un corso di video, che si confà alla sua personalità, all’interesse per il momento, che resta a tutt’oggi uno dei temi centrali della sua ricerca artistica.
Così, tra un esperimento e un altro, arriva un punto di svolta. Vince la residenza di studio attraverso il programma europeo Les Pepinières e si reca per sei mesi a Francoforte, dove incontra Peter Weibel che gli consente di esprimersi al meglio. Sarà proprio durante questa residenza che conosce Christa Sommerers, con la quale inizia un sodalizio artistico molto proficuo. Christa proviene da studi di botanica mentre Laurent si occupa di studiare algoritmi e animazioni per la grafica.
Da qui la ricerca di un punto di partenza, un algoritmo che renda il meccanimco della crescita cercando di creare un’interfaccia interattiva “botanica”.
La strada implica diversi passaggi, tra cui il tentativo di sbarazzarsi dell’oggetto, della forma, del simbolo, fino ad entrare dentro la cosa, dentro al meccanismo stesso che muove le forme viventi. Quello che interessa alla coppia Mignonneau-Sommerers sono i sistemi open-ended, cioè sistemi flessibili con un iter non prestabilito e un andamento comprendente più esiti. La parte interattiva e creativa diviene quindi solo un potenziale che il pubblico stesso porterà a compimento.
“L’interazione è il motore della creazione” sostiene Mignonneau, e mi pare che in questa affermazione ci sia già tutto. A quel punto, che ci sia l’artista o il pubblico si potrà esprimere lo stesso potenziale.
Quello che conta è il processo che genera qualcosa di nuovo. La tecnologia si fa un potente strumento per sbarazzarsi del tempo, dell’oggetto e della registrazione, dove l’artista osserva ma non controlla.
Allora gli chiedo: cos’è per te il futuro?
Mignonneau mi risponde candidamente che il futuro non gli interessa minimamente. È la complessità del presente che vuole sondare.
L’opera più conosciuta del duo risale al 1992, Interactive plant growing, un’installazione interattiva complessa ma straordinaria nelle dinamiche che scatena: cinque vasi in cui sono poste altrettante piante che il pubblico è invitato a toccare. Le foglie sfiorate trasmettono un impulso a fili elettrici collegati alle radici. Esse a loro volta trasmettono tali impulsi al computer che riproduce l’immagine grafica di una pianta che cresce sullo schermo. Tre quindi i protagonisti: il pubblico che interviene, creatore di potenziale, la pianta, ricettore e parte dell’opera, il computer (interfaccia).
Non si tratta di un oggetto ma di un processo, un modo di vedere. Per questo Mignonneau pensa che la tecnologia sia andata incontro all’artista, obbligato a cambiare attitudine. E paradossalmente attraverso la tecnologia si cerca l’origine, altro punto fondamentale. La pianta, il vegetale ha uno sviluppo legato al tempo, come uno slancio verso una crescita predefinita. Nell’algoritmo c’è una linea, una traccia che viene impressa nel tempo. Non c’è imposizione ma possibilità. Quando lo schermo risulta affollatissimo di vegetazione lo spettatore può cancellare il tutto e far ripartire da capo. Lo spettatore non sa che lo farà soltanto toccando la quinta pianta: il cactus…
Da allora sino ad oggi la coppia di artisti continua la ricerca sull’interattività e i processi generativi attraverso la vita artificiale: è dello scorso anno l’installazione “Life Writer”, che riflette inoltre sui legami tra tecnologie vecchie e nuove. Una vecchia macchina da scrivere modificata dove la carta è uno schermo di proiezione. Quando il fruitore digita, ogni lettera, ogni parola permette l’elaborazione di una forma, come fosse un DNA genetico. E così il pubblico, digitando un testo in realtà dà vita a creature che si muovono sulla carta, come graziosi animaletti. Queste creature sono basate su algoritmi dove il testo è usato come fosse un codice genetico che determina il comportamento e il movimento di tali esseri viventi artificiali.
Al di là della bellezza e della spettacolarità di questi lavori, quello che davvero mettono in campo è una importante riflessione sul rapporto creato-creatore, sul vivente, sulla dibattuta dicotomia naturale-artificiale, sull’influenza dell’osservatore sull’osservato e infine, sul ruolo e la posizione dell’artista in questa nuova era che si affaccia.
Laurent Mignonneau & Christa Sommerers sono docenti a Linz in un corso specifico di Interfaces cultures.
www.interface.ufg.ac.at/christa-laurent
Cristina Trivellin
D’ARS year 48/nr 193/spring 2008