L’ARTE CONTEMPORANEA NON È SEMPRE FACILE ED ACCESSIBILE, direi anzi il contrario: è spesso faticosa e difficoltosa, difficile da leggere, da decodificare, da tradurre, soprattutto per chi non possiede i codici o la chiave di volta della sua struttura.
Pochi giorni fa ho visitato la Triennale di Torino, giunta quest’anno alla sua seconda edizione, suddivisa tra il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e la Palazzina della Società Promotrice di Belle Arti; curata da Daniel Birnbaum, è simbolicamente intitolata “50 lune di Saturno”.
Birnbaum si è lasciato ispirare dal pianeta Saturno, simbolo per eccellenza del temperamento ribelle, controcorrente e malinconico che caratterizza gli artisti, secondo una tradizione ormai consolidatasi nell’ambito della storia dell’arte. Come pianeta Saturno è il secondo per estensione, composto principalmente di elio, ha un piccolo cuore di roccia e ghiaccio, è circondato da idrogeno metallico ed ha uno strato esterno gassoso; intorno a lui orbitano numerosi satelliti naturali, che noi chiamiamo impropriamente lune, la cui cifra esatta a tutt’oggi non è stata ancora stabilita. Queste lune sono tra loro molto diverse, per dimensioni, per struttura, per distanza dal pianeta di appartenenza, diverse come diversi tra loro sono i cinquanta artisti che espongono alla Triennale le loro opere. Sono artisti provenienti da tutto il mondo, eterogenei per età e formazione, accomunati però da quel temperamento saturnino che l’astro da sempre influenza e crea, pervasi da quella melanconia resa celeberrima da un’incisione di Dürer; sono artisti che realizzano le loro opere utilizzando le diverse tecniche e tecnologie dell’arte, andando in tal modo a costruire un nuovo e curioso angolo di cielo. Nelle opere di alcuni di loro il legame con Saturno sembra emergere con maggior forza e intensità, a volte l’influenza astrale del pianeta è chiaramente individuabile anche per lo spettatore “qualunque”, altre volte invece il pianeta sembra essere solo un “pretesto” per una riflessione altra, una scusa per relativizzare l’essere umano al centro dell’universo.
L’installazione di Olafur Eliasson al Castello di Rivoli è forse uno dei capolavori esposti nell’ambito di questa manifestazione. Appare inaspettata all’osservatore che fa il suo ingresso nella grande sala ad essa riservata, un ambiente molto ampio, con una particolare copertura a volta in mattoni, una stanza buia illuminata da fasci di luce che colpiscono pianeti e sfere celesti, creando nell’osservatore l’impressione di essere parte attiva del movimento delle stelle e dei pianeti del cielo, come se egli si trovasse per magia dentro la pagina di un libro di astronomia.
Coriandoli di parole che diventano costellazioni sono i protagonisti dei quadri dell’artista brasiliana Rivane Neuenschwander. Appesi uno accanto all’altro in una sala della Palazzina della Società Promotrice di Belle Arti sembrano essere, ad una prima e superficiale occhiata, semplici stampe fotografiche di costellazioni celesti, rivelando invece una ricerca più profonda sul senso della parola e della comunicazione quale legame universale.
I video di Paul Chan visibili alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo colpisono per la violenza delle loro immagini. Realizzati utilizzando colori intensi e molto brillanti, sospesi in una dimensione priva di riferimenti temporali ed entro una collocazione antropica che potremmo ritrovare ovunque, parlano della violenza fisica e sessuale che gli uomini compiono verso i proprio simili, in un continuo ripetersi sempre uguale a se stesso, senza sosta, quasi per l’eternità. Ma viene da chiedersi come questa brutalità sessuale si leghi alle lune di Saturno.
Resta addosso, alla fine della visita, una sensazione di inadeguatezza, un sentirsi piccoli di fronte alla grandezza e maestosità dell’universo di cui facciamo parte e che ci circonda, ma che forse non riusciamo appieno a comprendere. Resta anche però il dubbio di non aver colto pienamente il senso di alcune delle opere esposte, di non aver compreso fino in fondo le intenzioni del curatore o soprattutto il messaggio degli artisti. A volte l’impressione è di trovarsi di fronte a puri esercizi di stile, a riflessioni forse troppo pretenziose, che necessitano di ben più che poche righe di spiegazione come quelle che si trovano sui pannelli all’interno di ogni sala, perché se è vero che l’arte deve emozionare, deve coinvolgere e addirittura sconvolgere, deve però forse anche essere compresa per poter toccare nel profondo la nostra anima.
Martina Ganino