Per creare un’immagine edulcorata delle forze militari, il governo giapponese ha attuato un restyling dell’esercito grazie a personaggi “carini”, soprattutto di sesso femminile. Dal canto suo, il maestro dell’animazione Hayao Miyazaki sceglie invece le donne perchè convinto del loro coraggio e della loro indipendenza: scopriamo chi sono le donne dell’esercito manga.
In questi tempi di insicurezza e belligeranza globale anche la situazione in Asia sta diventando sempre più calda; il Giappone corre ai ripari attraverso quello che il premier Shinzo Abe definisce “pacifismo proattivo”, ovvero una sorta di riarmo dell’esercito. Tecnicamente non lo si può chiamare esercito ma JSDF (Japan Self-Defense Forces), perché nella costituzione del 1946, scritta durante la dominazione americana, il Giappone rinunciò ad avere un esercito e a ricorrere alla guerra nelle dispute internazionali (articolo 9). Nel 1952 però, gli americani lasciarono il Sol Levante e il governo due anni dopo creò le JSDF giustificandole appunto con lo scopo difensivo.
Considerando i danni subiti durante la Seconda Guerra Mondiale, il popolo giapponese è in maggioranza pacifista e non ha mai visto di buon grado le forze di difesa. Eppure negli ultimi anni Shinzo Abe è riuscito per ben due volte a modificare l’interpretazione dell’articolo 9: nel 2014 ha concesso l’intervento delle JSFD in caso di aggressione a un paese alleato e, nel 2015, ha autorizzato la partecipazione militare giapponese all’interno di coalizioni internazionali. Come ovviare però l’opposizione dell’opinione pubblica? La risposta è semplice e non è nuova al governo giapponese: i manga.
Manga e anime sono un tradizionale linguaggio artistico nipponico che dalla fine del XIX secolo ha influenzato l’immaginario e la cultura sia giapponese che, in tempi più recenti, internazionale. Già nel 1917 il Comitato di Indagine Educativa Popolare aveva varato il “provvedimento per la regolamentazione dell’industria cinematografica” il cui scopo era la tutela morale e la finalizzazione educativa della produzione filmica. Ciascun ministero commissionò ai più importanti registi del tempo alcuni anime con lo scopo di sensibilizzare il popolo su determinate tematiche: sono di quegli anni titoli come Se raccogli granelli diventeranno una montagna (1917) e Il viaggio della posta (1924) finanziati dal Ministero delle poste e telecomunicazioni, Il rimboschimento (1924) per ordine del Ministero dell’agricoltura e La trasmissione della sifilide (1926) per il Ministero dell’educazione. Il Giappone imperialista aveva promosso anche una serie di pellicole che vedono Momotaro, personaggio mitologico molto importante nella la cultura nipponica, nei panni di un soldato-aviatore-marinaio pronto a combattere e vincere gli eserciti stranieri (1).
Con la fine della guerra le cose cambiano, sia i film che gli anime nascono letteralmente dalle macerie della sconfitta: il caso più noto è sicuramente quello di Godzilla, il mostro preistorico risvegliato dalle armi nucleari. Ma anche l’industria dei manga e degli anime dagli anni ’50 agli anni ’80 risente della guerra. La maggior parte dei mangaka sono infatti nati o durante o immediatamente dopo il conflitto mondiale e le loro tematiche rispecchiano la paura e l’orrore che hanno subito nell’infanzia: dal pacifismo estremo di Miyazaki alle mutazioni genetiche di Go Nagai, passando per la crudezza neorealista di Una tomba per le lucciole (1988) di Takahata. L’esercito di Momotaro lascia il posto a eroi ed eroine solitari che combattono per il bene supremo: la pace.
Ora il governo scende di nuovo in campo attuando un restyling dell’esercito proprio grazie a personaggi kawaii (2): lo scopo è quello di sfruttare il moe – ovvero l’attaccamento emotivo suscitato da personaggi carini e adorabili – per creare un’immagine edulcorata delle forze militari. Questo mutamento si costituisce in varie fasi: oltre alla promozione di anime dal carattere militare predominante, è stato creato il personaggio chiave di Prince Pickle, una simpatica mascotte dell’esercito presente in tutte le comunicazioni ufficiali, dai volantini ai gadget, con l’intento di arruolare i più giovani. Ma la fase più interessante è sicuramente la femminizzazione dell’esercito. Dai cartelloni pubblicitari alle decalcomanie sui mezzi militari l’immagine che prevale è quella di ragazzine in stile kawaii, carine, dolci, ingenue e un po’ ammiccanti; queste icone non guardano negli occhi per evitare atteggiamenti di sfida che potrebbero essere letti come aggressivi e soprattutto non si muovono, non vanno né avanti né indietro a sottolineare come non rappresentino una minaccia allo status quo.
Se prendiamo in considerazione gli esempi più famosi di sfruttamento da parte di un governo istituzionale della produzione filmica del proprio paese a scopi militari, sicuramente il caso giapponese rappresenta un’anomalia. Leni Riefenstahl sia con Il trionfo della volontà (1934) che con Olympia (1936) ha esaltato le qualità più virili dell’esercito nazista, con fisici statuari e imponenti, sottolineando la forza, il vigore e la bellezza dei corpi ariani che marciano ordinati ai piedi del loro leader, eliminando ogni sentimento generalmente ritenuto più femminile quali la compassione e la dolcezza. Il tutto nonostante lei fosse una donna. Ma se il regime nazista ci sembra una cosa lontana o un caso a sé stante ricordiamo che il Pentagono è molto attivo sia a Hollywood che nella produzione di videogiochi. Negli anni sono state finanziate centinaia di pellicole che esaltassero il carattere machista dell’esercito americano, basti pensare che il governo collabora attivamente alla produzione anche dei popolarissimi film di supereroi come Iron Man e Transformers. Il celeberrimo Top Gun è stato girato in collaborazione con il Pentagono in un periodo in cui era necessario acquisire il consenso – o la distrazione, se preferite – dell’opinione pubblica per la politica militare di Reagan in Libia. In tempi più recenti sono i videogiochi il mezzo più diffuso per la propaganda americana, come ad esempio Call of Duty, la cui ambientazione ricalca lo scenario di guerra attuale ed è stata creata proprio tramite la collaborazione tra l’esercito e l’industria creativa (3).
Ma in nessuno di questi casi si è sfruttata l’immagine femminile per ammaliare il pubblico o per legittimare un riarmo. Certo, nell’ottica di Shinzo Abe di fornire una visione dell’esercito mite, non minaccioso ma quasi accogliente, sicuramente la femminizzazione pare essere un’ottima idea. Ma noi non ci stiamo, non possiamo starci. E non per un qualche sentimento femminista che potrebbe farci sentire offese per esser ritenute innocue, o perché non vogliamo che l’immagine femminile sia sfruttata a scopi militari, ma perché il Giappone in questi anni ci ha fornito un immaginario colmo di eroine pacifiste, che hanno sacrificato la propria vita in onore della pace, ed è così che ci piacciono gli anime.
Hayao Miyazaki, ritenuto il più grande maestro dell’animazione giapponese vivente, ha creato alcuni tra i personaggi femminili più complessi e affascinanti di sempre: da Nausicaa a Mononoke, da Lana a Sheeta, da Eboshi a Fio; sono bambine, ragazze, donne che si sono interamente donate alle proprie cause. In Conan il ragazzo del futuro il cattivo di turno ha come arma il Giganto (palese richiamo al Gigant hitleriano) un aereo immenso dotato di armi di distruzione di massa. E Lana cosa ha per sconfiggerlo? La pace che regna nella sua terra, l’amore per la natura e per tutti gli esseri viventi e questi sentimenti convinceranno il popolo a seguire lei invece che il dittatore guerrafondaio. Nausicaa vede la sua terra conquistata e distrutta da due forze in lotta tra loro e sacrificherà la sua stessa vita per porre fine alla guerra e ristabilire la pace. E la cosa più bella è che Miyazaki non ha scelto personaggi femminili per rendere il tutto un po’ più carino e appetibile alle masse, ma perché è fermamente convinto che le donne siano maggiormente in grado di affrontare le situazioni con coraggio e indipendenza, agendo senza esitazioni. Per Miyazaki la società ha dato troppo potere agli uomini ed è arrivato il momento di lasciare spazio alle donne e alla loro saggezza.
Miyazaki ha contribuito all’inizio di quella che viene definita “L’era delle donne” nella storia degli anime. Se scavassimo nei nostri ricordi ci renderemmo conto di quante eroine hanno segnato la nostra infanzia e adolescenza: dalle guerriere Sailor a Il mistero della pietra azzurra, fino a Neon Genesis Evangelion, le donne hanno popolato il nostro immaginario come guerriere e non come soldati, la differenza c’è e si vede.
Anche quest’anno in Francia si è festeggiato il 14 luglio, in ricordo della presa della Bastiglia e dell’inizio della rivoluzione francese; in contemporanea il mondo dei social celebrava la morte di Lady Oscar, protagonista dell’omonimo anime che ha segnato l’infanzia di tutti i nati tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Lady Oscar ha vissuto la sua vita fingendosi uomo, rispondendo agli ordini del padre, del re e dell’esercito, vivendo il conflitto con la sua parte femminile inizialmente in maniera piuttosto blanda ma poi, col passare del tempo e con l’avanzare del malcontento popolare, è diventato un peso insopportabile. Quando Lady Oscar diventa un eroe? Quando abbandona il ruolo di soldato maschio affibbiatole dal padre per diventare una guerriera alla guida del popolo contro i poteri che lo hanno schiacciato. Quando da uomo torna a essere donna. Ed è così che ci piace il mondo degli anime, quel mondo in cui ogni donna trova la sua individualità proprio quando la sacrifica per un bene più alto. Noi siamo guerriere, non sirene ammaliatrici.
1. Maria Roberta Novelli, Animerama. Storia del cinema d’animazione giapponese, Biblioteca Marsilio, Venezia, 2015.
2. In giapponese: carino.
3. Matthew Brummer, Un esercito di manga, da Internazionale n. 1143 anno 23.
Claudia Caldara
D’ARS anno 56/n. 223/estate 2016