Il Centro Pompidou dedica al genio multiforme di Bertrand Lavier un’ampia e interessante retrospettiva dal 26 settembre al 7 gennaio, in cui sono ospitati i lavori che l’artista francese ha realizzato a partire dal 1969. Formatosi in un clima artistico dominato dal movimento concettuale, Lavier arriva a sovvertirne i postulati in maniera ironica e leggera: per lui non esiste più alcuna identità fra parole e oggetti, e “Il cantiere dei dipinti industriali”, che apre nel 1974, si basa proprio su questo assunto. Per farci capire, infatti, quanta distanza possa esserci fra nomi e cose, Lavier accosta una serie di colori dagli stessi nomi ma dalle tonalità differenti, presenta in piccole vetrine 12 frammenti di legno colorati accompagnati dalla loro descrizione in 12 lingue diverse. Ma lo scarto fra parole e oggetti si fa ancora più evidente nel lavoro in cui sovrappone un’opera di Calder a un radiatore di marca Calder: è qui che la distanza fra la magnificenza e l’unicità di un’opera d’arte e la banalità dell’oggetto di uso comune diviene palese e innegabile.
Oltre a rivoluzionare l’arte concettuale, Lavier realizza un rinnovamento anche nel campo dei ready made. L’artista monta oggetti comuni e quotidiani, come caschi o skateboard, su dei piedistalli e li fa diventare oggetti misteriosi e intriganti; in questo modo ci spiega che il valore delle cose non appartiene all’oggetto in se stesso, ma al modo in cui esso ci viene presentato. I ready made acquistano nuovi e più complessi significati: l’automobile Giulietta, salvata dallo stesso Lavier da una discarica durante il 1993, su tutte le sue ammaccature e i suoi graffi porta impressi i segni del suo passato burrascoso e non ha ormai più nulla in comune con l’oggetto industriale che era in origine. Le sue sculture sono sovrapposizioni di oggetti quotidiani, realizzate senza alcuna motivazione logica: pone un frigorifero su una cassaforte, o ancora un’aspirapolvere su un mobile di art decò, seguendo semplicemente la sua fede incrollabile nelle addizioni e nelle ibridazioni, convinto che L’entità ottenuta attraverso l’innesto è molto di più che la somma delle sue parti. Lavier incornicia pareti bianche o brandelli di carte da parati circondandole di lampadine, lavora come un fotografo, senza avere però alcuna macchina fotografica, ci permette di avere percezioni diverse di opere d’arte famose, dandoci la possibilità di ammirare Four Darks in Red di Mark Rothko attraverso una proiezione in super 8 o trasformando un dipinto di Signac in un mosaico di ceramica, che da lontano illude facilmente lo spettatore risultando estremamente somigliante all’originale. Ogni forma d’arte, con Lavier, perde la sua specificità: dal 1978 crea sculture con blocchi di pittura (realizza dei rettangoli densi e compatti con vernice dai colori grigio topo e verde bandiera), mescola e confonde pittura e fotografia (accosta una foto di grosse pennellate rosse ad una materiale fotografico coperto dalle stesse spesse pennellate).
Nella sua Walt Disney Production campeggiano tele e sculture suggerite dai celebri cartoni animati americani; sono figure bizzarre e divertenti, dalle forme irreali e dai contorni sgargianti, in cui aleggia lo stesso spirito dei personaggi disneyani. Lavier gioca con tutto e sovverte tutto, non risparmiando niente e nessuno: illuminando di una nuova luce gli oggetti di uso comune, ci rivela l’illusorietà e la fallibilità dei nomi, fa perdere la propria peculiarità alle arti plastiche e ripropone in nuovi modi opere di grandi maestri. Così diventa possibile immergersi in un dipinto di Rothko come se si guardasse un film, accostare oggetti disparati in modo totalmente incoerente per poi scoprire combinazioni armoniose e divertenti. In questo sovvertire continuo e costante non c’è mai nulla di irriverente o di dissacratorio, e soprattutto è totalmente assente qualsiasi allusione tragica. Per ogni certezza che perdiamo c’è una nuova verità che si rivela con gioia, ogni valore precostituito che crolla ci rivela la strada verso nuove prospettive a cui affacciarci con entusiasmo e senza paura. La grandezza di Lavier, forse, sta proprio in questo: nel saperci suggerire nuove possibilità, e al tempo stesso nell’accettare sempre in modo sereno e stupito le verità che vengono rivelate dalle sue scoperte.
Isabella Santangelo
D’ARS year 52/nr 212/winter 2012