Al Festival Internazionale del Film di Roma 2014, per la sezione Prospettiva Italia è stato presentato domenica 19 ottobre Last summer, debutto al lungometraggio di Leonardo Guerra Seràgnoli, regista romano ma londinese di adozione. Un’opera riuscita che lavora sulle immagini per penetrare l’anima, i sentimenti, le sensazioni dell’insostenibile atto di una madre che deve dire addio al proprio figlio, perché le è stata tolta la custodia.
Il raffinato yacht ormeggiato al largo di Otranto è il palcoscenico della tragedia che si consuma tra Naomi, signora giapponese elegante e compita e Ken, un vispo bimbetto di 11 anni cresciuto nell’upper class americana assieme al padre a cui è stato affidato. Naomi deve dare l’ultimo saluto al figlio e lo deve fare su questa barca che con sé trasporta molti significati: la barca come topos-utopos, simbolo di viaggio, di cambiamento, una terra di mezzo che collega mondi distanti, spazio chiuso e aperto sul mondo allo stesso tempo, zattera di salvezza ma anche fragile mezzo in balia delle tempeste.
La potenza dei simboli usati (la barca, il ponte, la maschera che la madre cuce per Ken, il racconto, il colore e la luce) è enfatizzata e evidenziata dal lavoro di sottrazione fatto in sede di scrittura registica: prevalgono i vuoti ai pieni e i silenzi alle parole. Gli elementi compaiono come statue greche su un piedistallo. Naomi non riesce a comunicare con la crew della nave, né con Ken; la musica introduce e chiude non valicando la soglia dei titoli di apertura e chiusura; la scenografia toglie oggetti esaltando la purezza primigenia di forme e colori. Il blu del mare, del cielo e della maschera di Ken avvolge tutto, richiamando grandi maestri del cinema che di questo lavoro ne hanno fatto una cifra stilistica (Godard o Bergman), così come anche il mondo del teatro classico entra in maniera osmotica.
I motivi che hanno costretto ad intraprendere le vie legali per allontanare Ken dalla madre non sono rivelati: dai discorsi tra gli steward si suppone che, a discapito di quello che è dato sapere allo spettatore, Naomi era una squilibrata. Questo non è comunque importante nell’economia della storia: importante è la linea di contatto tra madre e figlio, il luogo dove il mare lambisce la terra, dove le due mani si sfiorano nella sabbia, che il regista dimostra di saper maneggiare giocando a pelo d’acqua con gli elementi, i simboli. Il dramma si svolge nell’arco di quattro lunghe, lente e interminabili giornate che sono strazianti. Opposto alla cinematografia mainstream e all’accumulo hollywoodiano, Last summer non è un film facile e non avrà grande circuitazione (lo porta in sala Bolero Film) ed è un peccato perchè è una profonda analisi di sentimenti umani difficili da raccontare, per i quali le parole ci allontanano mentre le immagini ci avvicinano.
Elena Cappelletti