Un Tiresia, un Gandhi, un sindacalista dalla camicia rossa, un Don Chisciotte con il suo fedele Sancio Pancia, una reincarnazione rabberciata di Cristo. Chi è l’ultimo Ascanio Celestini che fonda scientificamente il suo Laika sulle teorie del Big Bang?
Dov’è la marginalità, la periferia? E non stiamo parlando della querelle delle case a Roma o Milano anche se in uno dei quei suburbi potrebbe essere ambientata questo Laika, ultimo lavoro dell’attore profondamente romano visto al Teatro Camploy di Verona. La marginalità forse è la finestra da cui un povero Salvatore all’ultima stazione guarda non-vedendo una umanità di facchini, ubriaconi, prostitute e vecchie dalla testa acconciata Una finestra beckettiana da un appartamento di 35 metri quadrati su un piazzale che sintetizza l’universo con tanto di via lattea e pianeti?
Seguiamo Ascanio Celestini dagli inizi e abbiamo visto molto (non tutto). Cosa c’è di nuovo in questa ennesima drammaturgia del quotidiano, impasto denso di fiaba e cronaca? Le domande, quelle di sempre, che ostinatamente Celestini dice di rivolgere all’uomo qui prendono la strada di Laika, cane di strada, e per questo robusto, per arrivare dritte ad un Dio cieco (quello sì) o forse con l’Alzheimer e un po’… (bestemmia di Ascanio in teatro).
Ci sono gli emarginati, coloro che il centro considera periferia, pregni di umanità dolente e resistente. Gli ultimi diventati primi. Ci sono i consueti scavallamenti, derive, piani narrativi che s’incrociano come le vite dei personaggi. Ora è la fiaba, ora la metafora, ora la cronaca a dettare il filo conduttore – perché dice Celestini – “una vita vera non vale come una immaginata”. E quindi i personaggi sono punti di vista sulla santità, sulla vera divinità e sull’origine dell’universo. Perché l’attore in un’ora e mezza divaga anche su Stephen Hawking e Steve Jobs; un Bakunin della narrazione che azzarda anche una canzoncina in bocca ad una prostituta e soprattutto, rispetto ad altri lavori, usa di più il corpo. Accenna una danza, una ballata forse anche se centrato in una sorta di pista da circo, alle spalle un siparietto con l’apostolo Pietro che ha il corpo del fisarmonicista Gianluca Casadei e la voce di Alba Rohrwacher dai timbri lontani e inconsapevoli.
La struttura drammaturgica è smaccatamente nota: ancora il procedere per monologhi “quotidiani” che attraversano la memoria come seguendo casuali indicazioni. Ma questa volta ciò che accade non è più lontano da ciò che viene detto. Le sensazioni evocate sono meno complesse: c’è rabbia, compassione, solidarietà e tanta resistenza, rossa come quel maglione sotto il capotto. Resistenza per i facchini, per i diseredati di pasoliniana memoria (c’è pure Ostia scalo). E l’orgoglio di avere un biglietto dell’autobus pagato in mano. Piccole verità con cui “cercare l’inizio del mare”, che è un po’ come metterlo in bicchiere. E se un povero Cristo abbandona le parole senza senso per passare alla pratica e “scendere in piazza” è un piccolo prodigio, un miracolo per uomini e non per santi inutili. Senza una morale, perché, come dice la vecchia con la testa impicciata “la morale ce l’hanno le favole”.
Simone Azzoni
Laika
di e con Ascanio Celestini
con Gianluca Casadei, fisarmonica
voce fuori campo Alba Rohrwacher
produzione Fabbrica Srl
co-produzione Romaeuropa Festival 2015
co-produzione TSU Teatro Stabile dell’Umbria
Prossime date: http://www.ascaniocelestini.it/eventi/