Riassumere in poche righe la grande esposizione di Hangar Bicocca di Milano dedicata agli artisti Dieter e Björn Roth non è semplice per la complessità delle tematiche affrontate, il numero delle opere esposte (ben cento), l’imponenza dell’allestimento.
Non è nemmeno semplice capire fino in fondo la profonda intimità che sta alla base della maggior parte delle opere di Islands, insieme di istallazioni concepite come una sorta di viaggio che fa approdare i visitatori di Hangar Bicocca su isole tutte diverse e allo stesso tempo uguali, che offrono scorsi diversi di un panorama chiamato vita.
Proverò a descrivere questo viaggio per parole chiave. La prima: SERIALITA’. Dieter Roth (1930 – 1998) nasce come grafico e sin dagli inizi della sua carriera artistica concentra la sua attenzione verso le diverse tecniche di stampa sperimentando metodi nuovi per la duplicazione delle immagini (principalmente cartoline), precorrendone anche i tempi. Tale passione è ben visibile in mostra dalle opere Surstey (1973-1974) e Surtsey – Dinner (1973 – 1993/2003), The Piccadilly Project (1969 – 2005). In entrambe le serie lo stesso soggetto (che sia la cartolina dell’isola islandese Surstey o quella di Piccadilly Circus di Londra) viene preso, copiato e completamente stravolto nelle dimensioni, nella composizione, nella cromia. Dieter Roth non era interessato solamente alle immagini popolari e a negare l’unicità dell’opera d’arte ripetendola all’infinito, era soprattutto legato al concetto di “ripetizione” che si ha nel quotidiano, ovvero a quella serie di gesti che vengono compiuti ogni giorno e che possono divenire essi stessi opera d’arte: la serie di polaroid 55 Scheisse für Rosanna (1982), ad esempio, ritrae gli escrementi prodotti quotidianamente dall’artista, mentre le 30.000 diapositive di Reykjavík Slides Part.1 e Part.2 ritraggono ogni singolo edificio della capitale islandese in diverse stagioni e a distanza di vent’anni (la prima serie è datata 1973-75, la seconda 1990-98), documentandone i cambiamenti ed evidenziando quei particolari che agli occhi di molti possono risultare insignificanti.
Dieter Roth nel corso della sua carriera ha sempre prediletto la collaborazione sia con altri artisti contemporanei (movimento Fluxus, D. Spoerri, R. Hamilton), sia con la famiglia coinvolgendo tutti quanti nel suo percorso creativo. In particolare il figlio Björn che dagli anni ’70 ha affiancato il padre prima come suo collaboratore e poi come coautore delle opere, portando avanti le tematiche care a Dieter. Una su tutte, l’ARCHIVIO.
Raccogliere, documentare, recuperare diviene pratica fondamentale per i Roth a partire dagli anni ’70, quando prendono vita le grandi istallazioni che riproducono i loro studi/abitazioni sparsi per Islanda, Germania, Svizzera: The Studio of Dieter and Björn Roth (1995-2008), Grosse Tishruine (iniziata nel 1978). Un archivio che può essere sempre implementato, modificato, allargato. Un po’ come la vita che scorre, ma allo stesso tempo, un modo per fermarla, la vita, e documentarla in ogni suo attimo.
DIARIO: dove finisca la vita reale e cominci quella artistica di Roth (e del figlio), difficile dirlo, tutto è mischiato, tutto viene raccolto e trattato come un vero e proprio diario sia privato che artistico: Flacher Abfall (1975 – 76/1992), Clothes Pictures (1984-1987), ma soprattutto Solo Szenen (1997-98), 131 schermi che documentano l’ultimo anno di vita di Dieter Roth nei suoi studi in Germania, Svizzera, Islanda (presente alla Biennale d’arte di Venezia 2013 Il palazzo Enciclopedico). Mediante la formula del diario l’artista fa un lavoro di introspezione, negando l’autocelebrazione, facendo divenire la sua vita arte e l’arte vita. Il processo creativo viene mostrato ed evidenziato in ogni passaggio e gli strumenti di lavoro diventano parte integrante dell’opera.
Tutto può ed è utilizzato per creare, anche il CIBO: gli elementi organici e il loro deterioramento danno la possibilità di riflettere sull’effimero, sullo scorrere del tempo, sui cambiamenti che esso inevitabilmente porta, prima di tutto su noi stessi (New York Kitchen e le torri di cioccolato e zucchero che la completano).
UNIONE è la mia ultima parola chiave: unione di oggetti, di cervelli, di idee, di suggestioni, tutti elementi che sono serviti a Björn Roth e collaboratori per costruire in Hangar la piattaforma sopraelevata The Ralatively New Sculpture (2013) e l’Economy Bar (2004-2013) sulla scia degli insegnamenti di Dieter.
Le opere di Islands risultano, quindi, delle metafore sul senso della vita: si cerca di imbrigliarla, di fermarla, di conservarne ogni attimo, ma la vita cambia. La vita finisce. E Roth sognava questo per le sue opere quando diceva ‹‹Le opere d’arte dovrebbero cambiare, invecchiare e morire come l’uomo›› (In Barbara Wien (con introduzione di), Dieter Roth. Gesammelte Interviews, Ed. Hansjörg Mayer, Londra 2002).
Gaia Badioni
Dieter e Björn Roth
Islands
Dal 05.11.2013 al 09.02.2014
Hangar Bicocca